Sembra non più una questione di 'se', ma di 'quando'. A giudicare da quanto avvenuto in occasione del grande vertice 'One Planet Summit' organizzato per i due anni dalla firma dello storico Accordo di Parigi, l’abbandono delle fonti fossili di energia (carbone, petrolio, gas) nella prospettiva della lotta al climate change sembra stia subendo una forte e improvvisa accelerazione. Che vede come primi protagonisti la società civile, le forze di mercato, alcune istituzioni, evidentemente capaci di andare molto più veloci degli Stati, che ancora non riescono a trovare la quadra quando si siedono ai tavoli dei negoziati sul clima. In questi giorni si è registrato al riguardo un fuoco di fila di annunci come forse mai prima. Il più importante è arrivato dalla Banca Mondiale: ha dichiarato che dopo il 2019 non finanzierà più attività legate all’estrazione di petrolio e gas. Riservandosi di farlo solo in casi eccezionali, per il gas, quando nei Paesi più poveri ciò può produrre chiari benefici in termini di accesso all’energia. E comunque sempre nel quadro di quanto è previsto nell’Accordo di Parigi. L’annuncio è stato accolto con enorme soddisfazione in particolare da parte di chi da anni premeva in tal senso. Come gli statunitensi di Oil Change International, che in vista del vertice di Parigi, nel ruolo di capofila di un gruppo di oltre 200 organizzazioni della società civile internazionale (fra cui Legambiente), avevano chiesto alle nazioni del G20 e alle banche multilaterali di sviluppo di mettere al bando sussidi e finanziamenti pubblici alle fonti fossili di energia il prima possibile, comunque non più tardi del 2020: si calcola che i Paesi del G20 da soli spendano quasi 450 miliardi di dollari l’anno per sostenere la produzione di energie fossili. Diversi colossi finanziari hanno annunciato di voler intensificare l’impegno di abbandonare le fossili e di investire nel green: la francese Axa, che nel 2015 si era impegnata a disinvestire 500 milioni di euro dal settore del carbone, ha portato l’impegno a 2,4 miliardi, contemporaneamente ponendosi l’obiettivo di 12 miliardi di euro di investimenti green entro il 2020. Similmente hanno fatto gli olandesi di Ing (stop al finanziamento di centrali a carbone entro il 2025) e i norvegesi di Storebrand (lancio di un fondo fossil-free da 1,3 miliardi di euro). Mentre in Gran Bretagna Jeremy Corbyn, leader dei Labour, è stato il centesimo parlamentare ad aderire a Divest Parliament, la campagna che chiede il fossil fuel divestment al fondo pensione dei parlamentari. Tutto ciò in un contesto già molto 'caldo', è il caso di dirlo, per le fonti fossili. Il 4 ottobre scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che, citando anche la Laudato si’ di Papa Francesco, chiede senza mezzi termini a tutti gli attori finanziari di disinvestire dalle fonti fossili. Intanto il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima sta già lavorando al prossimo annuncio congiunto di organizzazioni cattoliche che aderiranno alla campagna per il disinvestimento dalle fossili: è in programma per il 22 aprile 2018, Giornata mondiale della Terra.
L’abbandono di carbone, petrolio e gas sembra stia subendo una forte e improvvisa accelerazione: primi protagonisti la società civile, le forze di mercato, alcune istituzioni
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