martedì 8 aprile 2025
I mercati asiatici chiudono in rialzo ma resiste un clima di incertezza e volatilità. E tra Stati Uniti e Cina è più che mai scontro. Al via le nuove barriere americane
I mercati restano fortemente condizionati dalle politiche Usa sui dazi

I mercati restano fortemente condizionati dalle politiche Usa sui dazi - Ansa

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Alla vigilia dell’entrata in vigore dei nuovi dazi reciproci Usa, che scattano il 9 aprile con soglie differenziate per tutti i Paesi e una tariffa minima del 10 per cento, le Borse globali hanno trovato ieri il primo parziale rimbalzo, dopo tre sedute consecutive da perdite record. Nonostante non siano arrivati ufficialmente segnali di ripensamento da parte della Casa Bianca, e con Donald Trump che si limita a dire di aspettare una «telefonata» dalla Cina per un’intesa commerciale con Pechino, i mercati finanziari hanno ritrovato il segno positivo, pur in un generale clima di incertezza e volatilità. Sono state per prime le Borse asiatiche a chiudere in rialzo – con Kong Kong a +1,51%, Shanghai +1,58% e il Nikkei a +6,02% -, poi è toccato all’Europa, sulla scia dell’apertura positiva di Wall Street sopra il 3%. In luce Londra (+2,71%), Francoforte (+2,48%), Parigi (+2,50%) e Milano (+2,49%), numeri comunque bassi rispetto alle ingenti recenti perdite. Gli analisti vedono i «primi segni di stabilizzazione dopo l’incredibile tracollo degli ultimi giorni», spiega Jim Reid, economista di Deutsche Bank, anche se per Mps market strategy la situazione rimane «molto fluida, con messaggi contrastanti da parte dell’amministrazione Usa», mentre si attendono segnali dalle banche centrali sul fronte del taglio dei tassi. Mentre l’Unione Europea prepara i suoi controdazi, la Casa Bianca sottolinea di aver ricevuto telefonate da oltre 70 Paesi, pronti a negoziare accordi. «Tutto è sul tavolo», ha sottolineato il segretario al Tesoro americano Scott Bessent, evidenziando che l'amministrazione Trump non si sta concentrando semplicemente sui livelli assoluti delle tariffe di altri Paesi, ma anche sulle barriere non tariffarie, come la «manipolazione delle valute», l'imposta europea sul valore aggiunto (Iva) e altri strumenti che, secondo la Casa Bianca, minano l’equità dei commerci con gli Stati Uniti.

«Anche la Cina vuole fare un accordo, ma non sa come iniziare. Aspettiamo la loro chiamata, che ci sarà!», è la convinzione espressa ieri da Trump. Ma da Pechino arrivano segnali non proprio concilianti. Ieri, anzi, il premier cinese Li Qiang, che ha avuto un colloquio con la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, non si è risparmiato nel primo esplicito e pubblico attacco da parte della leadership del Dragone: gli Usa hanno annunciato «l’abuso di dazi su tutti i loro partner commerciali, tra cui Cina ed Europa, con varie scuse. Si tratta di un tipico atto di unilateralismo, protezionismo e di prepotenza economica». Da entrambe le parti, difficilmente apparire deboli può essere un’opzione. E a colpi di botta e risposta si rischia un’ulteriore escalation. Pechino ha già risposto ai dazi di Trump con controdazi del 34%; Washington ha quindi minacciato ulteriori tariffe che porterebbero i dazi Usa alla Cina al 104%.

Rapporti tesi, infine, anche all’interno della squadra di Trump. Elon Musk ieri ha attaccato Peter Navarro, il consigliere al commercio del presidente Usa, definendolo un «cretino», «più stupido di un sacco di mattoni». L'affondo del miliardario ha fatto seguito alle parole dello stesso Navarro su Musk: «Alla Casa Bianca lo capiamo tutti, e lo capiscono anche gli americani, che Elon è un produttore di auto. Anzi è un assemblatore di auto», considerato che «buona parte» delle batterie delle auto Tesla arriva dal Giappone e dalla Cina. Qualcosa, anche nella squadra di Trump, si è rotto.

Paolo M. Alfieri

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