La strada per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici e raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi è ancora in salita. Ma dalla Cop23 di Bonn, la Conferenza delle parti che vede al lavoro da dieci giorni le delegazioni di 196 governi, ieri è arrivato un segnale forte. L’Europa è pronta a fare la sua parte e chiama gli Stati Uniti a collaborare, nonostante lo sgambetto del presidente Donald Trump che non vuole rispettare gli impegni presi dal suo predecessore. «Quella del clima è una sfida centrale per il mondo, una questione di destino dell’umanità» ha detto la cancelliera Angela Merkel. «Il nostro messaggio è che noi vogliamo proteggere il pianeta» ha aggiunto sottolineando che «l’Europa è consapevole della sua responsabilità» e che «la Germania si impegnerà» per la tutela del clima.
Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente francese Emanuel Macron. «La Francia farà la sua parte, l’accordo di Parigi adesso ma messo in pratica» ha detto dando appuntamento al prossimo 12 dicembre per una prima verifica. Macron ha auspicato che lo 'sforzo' degli stati americani e delle città possa 'sostituire' il ruolo di Washington. Era stato il governatore della California, il democratico Jerry Brown, qualche giorno fa a spiegare che le amministrazioni locali sono pronte a rispettare quell’accordo di Parigi che Trump considera carta-straccia e a collaborare in maniera fattiva. «Non possiamo aspettare i nostri leader nazionali» aveva detto Brown. «Continuare ad investire nel settore dei combustibili fossili, l’anno scorso sono stati stanziati circa 825 miliardi di dollari, condannerebbe l’umanità a un futuro insostenibile »: è il monito lanciato dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres che ha parlato dei cambiamenti climatici come di un «pericolo determinante del nostro tempo».
A margine della Cop23 è stato presentato il rapporto Germanwatch che prende in considerazione la performance climatica di 56 paesi del Pianeta (con l’aggiunta, per la prima volta, dell’Unione Europea) che rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. Anche quest’anno il podio non viene assegnato. Nessun paese ha infatti raggiunto i risultati necessari per mantenere le emissioni globali al di sotto della soglia critica dei due gradi, secondo quanto previsto dall’accordo di Parigi.
Ad aprire la graduatoria, è la Svezia, al quarto posto posto, con ottimi risultati nella riduzione delle emissioni pro-capite, segue la Lituania al quinto posto e il Marocco (al sesto) che consolida la sua leadership in Africa, grazie ai considerevoli investimenti nelle rinnovabili. La Francia si piazza al 15esimo posto in classifica, mentre l’Italia conferma il 16esimo posto dello scorso anno grazie alla buona performance nelle rinnovabili dovuta all’onda lunga degli investimenti degli anni precedenti e dal contributo dell’efficienza energetica. «Le emissioni in Italia sono continuate a crescere anche nel 2016 dello 0.4% rispetto all’anno precedente e dopo il 2% del 2015, invertendo la tendenza positiva che ha consentito una consistente riduzione delle emissioni attestatasi nel 2016 al 16.4% rispetto al 1990» sottolinea Legambiente che denuncia un taglio, a partire dal 2014, degli investimenti. New entry di quest’anno è l’Unione Europea che si posiziona solo al 21esimo posto per la divergente performance dei suoi Stati membri. Tornando alla classifica del rapporto Germanwatch tra i paesi emergenti l’India conquista il 14eismo posto grazie alle rinnovabili mentre la Germania dopo molti anni di leadership scende al 22esimo posto. Nelle retrovie si posizionano Cina (41esimo posto) e Usa (56esimo) principali responsabili delle emissioni globali.