Lo stabilimento di Fca a Pomigliano d'Arco - Ansa
Un crollo in valore percentuale delle vendite nell’ordine dell’80%. E’ questa la voragine che si attende di dover mettere a bilancio il settore dell’auto quando, mercoledì prossimo, il Ministero dei Trasporti ufficializzerà i dati relativi alle immatricolazione del mese di marzo in Italia. La pandemia da Covid–19 ha già colpito in maniera brutale i settori che vivono di mobilità: per quanto riguarda l’automotive non ci sono solo le concessionarie chiuse, ma impossibi-litate ad evadere le pratiche sono anche il Pra e la Motorizzazione, mentre i noleggi non stanno rinnovando le flotte e le grandi Case hanno dovuto interrompere anche le autoimmatricolazioni, tradizionale rifugio per tamponare la mancanza di vendite reali. Una paralisi quasi completa, aggravata dai problemi di approvvigionamento delle vetture prodotte all’estero dovuta ai rallentamenti alle frontiere e alla chiusura dei centri di smistamento.
Il 2020 orribile dell’auto si era aperto già con dati preoccupanti (–5,6% a gennaio e –8,8% a febbraio), in linea con quelli europei. Ma la previsione a lunga scadenza, già negativa prima dell’inizio del dramma sanitario che il mondo sta vivendo, rischia di diventare insostenibile per la situazione economica e sociale che ne scaturisce, gravissima, e senza precedenti – afferma Andrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae, l’associazione delle case automobilistiche estere in Italia –. Da quando sono state applicate all’intero territorio nazionale le misure di contenimento dell’epidemia, il mercato ha registrato un vero e proprio tracollo, con ormai poche decine di immatricolazioni al giorno e una previsione per l’intero mese di marzo di meno di 30 mila unità contro le 194 mila di marzo 2019. Ora è anche fortissimo il rischio da parte dell’industria automobilistica europea di non raggiungere gli obiettivi di abbattimento delle emissioni di CO2 in vigore da quest’anno”. Lo stop che riguarda le fabbriche che producono automobili nel nostro Paese coinvolge anche un vasto indotto di distributori, concessionari, noleggiatori e fornitori che impiega 150 mila addetti, e ci sono aziende che rischiano di non sopravvivere a questo blocco.
“Nessuno vuole anteporre il mercato alle priorità sanitarie – spiega Michele Crisci, presidente dell’Unrae – ma questo è il momento di pensare a cosa fare dopo, a come fare ripartire il settore auto, che vale il 10% del Pil nazionale, una volta che l’emergenza sarà sotto controllo”. Da qui la richiesta di adottare misure efficaci che siano al tempo stesso virtuose per un settore che si sta convertendo all’elettrificazione. “Oggi gli incentivi Ecobonus mirano ad aggiornare il parco auto con motorizzazioni virtuose, elettriche e ibride plug–in, che premiano il 2% del mercato. Noi chiediamo di proseguire in questa direzione ma di allargare l’incentivo a un mercato più ampio di auto più abbordabili, magari introducendo una terza fascia, per esempio fino ai 95 g/km di CO2. Poi chiediamo la reintroduzione del super ammortamento per le aziende e incentivi per i veicoli commerciali”, ipotizza Crisci. Anche Federauto, la federazione dei concessionari, teme un crollo delle immatricolazioni del 60% a fine 2020 e lancia già proposte concrete. Come quella di aiutare chi non si può permettere un’auto nuova, ma che a condizioni agevolate potrebbe acquistare un usato con pochi chilometri e quindi meno inquinante: “L’impatto sul bilancio annuale potrebbe essere molto pesante – ha detto il presidente Adolfo De Stefani Cosentino –. Le concessionarie hanno costi fissi alti e restare chiusi un mese può significare perdere più di metà del ricavo annuo. Lo sconto che le case ci fanno sull’acquisto delle auto dipende anche dal raggiungimento di obiettivi di volume che cambiano radicalmente la nostra marginalità. Al governo chiediamo la rateizzazione di tutte le imposte, e un provvedimento di super rottamazione, non solo per elettriche e ibride. Sarebbe una bella spinta per la ripresa”.