Le pmi italiane possono crescere con il contributo degli export manager - Archivio
«Nella complessità dell'attuale contesto economico, l'export rappresenta l'unica strada che consente alle pmi italiane di crescere e prosperare nel medio-lungo periodo. I mercati internazionali in cui esse si muovono sono tuttavia sempre più articolati e competitivi e, a differenza di quelli locali, sono complicati dalla presenza di barriere sociali e relazionali e da peculiarità legate alla gestione delle transazioni e del post-vendita. In tale scenario, l'export manager risulta una figura assolutamente centrale per consentire alle imprese di avviare, sviluppare e gestire l'esportazione di beni e servizi e, più generale, di attivare il processo di internazionalizzazione». Ne è sicuro Luca Gatto, senior manager in Sace-Società speciale per l'assicurazione del credito all'esportazione, e autore - con Marco Sanfilippo - di Export manager-Guida operativa per crescere nei mercati esteri (edizione Egea). Il libro rappresenta un vero e proprio vademecum per una professione in ascesa, i cui compiti e relative attività specifiche sono oggi definiti dalla norma Uni 11823. A fronte di oltre 130mila aziende italiane che esportano, il mercato avrebbe sempre più bisogno di professionisti competenti e preparati. L’export manager è una figura che si occupa dell’analisi dei mercati esteri e della pianificazione di una linea aziendale che possa consentire l’introduzione di un prodotto o servizio all’interno di questi mercati. I suoi compiti sono quelli di individuare i Paesi che potrebbero adattarsi meglio ai prodotti o servizi dell’azienda, di sviluppare un piano di marketing adeguato al Paese di destinazione, di modellare le politiche aziendali adeguandole a un certo mercato e di definire delle strategie che possano facilitare l’entrata di un certo prodotto o servizio in mercati culturalmente ed economicamente molto diversi dal nostro. Si tratta, in altre parole, di un professionista specializzato nell’internazionalizzazione delle imprese, che conosce in modo particolarmente approfondito l’andamento dei mercati globali e che sa esattamente cosa fare per trasformare un’azienda da locale a internazionale, dunque che abbia come obiettivo primario la propria espansione all’estero. «L’introduzione di uno specialista nelle pmi è una scelta strategica imprescindibile - spiega Francesco Laganà, temporary export manager -. Ti permette di integrare nuove competenze manageriali a supporto delle decisioni d’impresa e rispondere con efficacia agli stimoli del mercato. Oltre ai finanziamenti all'esportazione, diversi strumenti sono stati messi in campo per incentivare le pmi a inserire un export manager anche attraverso temporary management. Affinché non ci si limiti a fare dell’internazionalizzazione delle imprese italiane una mera dichiarazione d’intenti, però, diventa fondamentale intervenire sull'organizzazione aziendale. Solo una struttura di export management fissa può rendere l’esportazione una leva di competitività e crescita in un’ottica di medio-lungo periodo». In sostanza non si può più improvvisare. Per diventare export manager servono una laurea e competenze trasversali. Essendo questo professionista un autentico esperto di politiche internazionali ed economiche, i corsi che meglio si adattano alla sua formazione sono quelli in giurisprudenza e in economia, ovviamente con un indirizzo internazionale. Dopo la laurea, poi, si rende sempre necessario il conseguimento di un master che possa aumentare le competenze specifiche del futuro export manager. Da questo punto di vista, meglio scegliere master relativi all’internazionalizzazione delle imprese, al marketing o alle esportazioni. Infine, da sottolineare che il master è importantissimo anche per via dello stage, che consente agli export manager di fare esperienza sul campo e di entrare da subito nelle logiche di un’impresa che desidera espandersi. La conoscenza delle lingue straniere rappresenta la base di partenza più indicata, la conoscenza dell’inglese è d’obbligo, così come la conoscenza di una seconda lingua, che può favorire l’assunzione dell’export manager in base ai diversi Paesi di destinazione delle logiche commerciali dell’azienda. Detto questo, l’export manager deve essere anche un esperto di marketing e di promozione. Esportare un prodotto significa anche cercare di attirare una certa clientela, rispettando però la cultura e le tradizioni del Paese straniero che l’impresa ha scelto come proprio obiettivo di mercato. Realizzare una campagna di marketing inadeguata, o peggio ancora offensiva, significa causare gravi danni d’immagine all’azienda. L’export manager, dunque, deve essere anche una sorta di mediatore culturale. Ma le qualità del perfetto export manager non terminano certo qui, questa figura deve anche sapere comunicare in modo efficace con le aziende partner locali, cercando innanzitutto di vendere a loro un certo prodotto o servizio. Inoltre, deve essere in grado di analizzare compiutamente l’andamento economico di un certo mercato, per garantire all’azienda per cui lavora un ritorno certo, e per evitare di sprecare investimenti in settori poco remunerativi. Infine, il manager delle esportazioni deve essere anche particolarmente ferrato in diritto internazionale, una caratteristica indispensabile per conoscere, per studiare e per comprendere i quadri legislativi di un certo Paese, e dunque per poter individuare eventuali azioni dell’azienda che potrebbero essere considerate illegali nel suddetto Paese.
Le iniziative a favore dell'internazionalizzazione
Un sostegno alle imprese italiane che intendono esportare arriva anche dalla Sace. È partita, infatti, la III edizione dell’Export Champion Program, il corso di formazione specializzato e totalmente gratuito promosso da Sace, attraverso il suo Hub formativo Sace Education, in collaborazione con Luiss Business School. L’iniziativa, in linea con il piano industriale Insieme 2025, si pone l’obiettivo di supportare le imprese che vogliono esplorare nuovi mercati e opportunità di business con tutti gli strumenti necessari per rafforzare le proprie competenze aziendali e specialistiche, formandole su opportunità e rischi dei Paesi esteri target. Alle prime due precedenti edizioni hanno partecipato oltre 200 aziende italiane. Protagonista di questa edizione è l’America Latina, con un particolare focus sui mercati di Brasile, Colombia e Messico. Sempre Sace, con Unioncamere e Assocamerestero, hanno siglato un protocollo d'intesa con l'obiettivo di favorire l'internazionalizzazione e l'export delle piccole e medie aziende italiane attraverso una collaborazione sinergica che metta a fattor comune capacità, conoscenze e servizi. L'internazionalizzazione è uno strumento importante di valorizzazione del made In Italy e, più in generale, del tessuto economico italiano, come dimostra anche l'attenzione nell'ambito degli investimenti legati al Pnrr. Diventa, quindi, oggi strategica la collaborazione tra Sace e il sistema camerale per operare in sinergia, creando nuovi strumenti e valorizzando quelli già in essere, unendo expertise e competenze a beneficio delle imprese italiane che vogliano affacciarsi sui mercati esteri o rafforzare la loro presenza. Sace, Unioncamere e Assocamerestero daranno vita a iniziative progettuali congiunte "a misura di impresa", contribuendo - in base alle proprie specifiche competenze e reti di contatti in Italia e all'estero - al rafforzamento del tessuto produttivo italiano e alla promozione di nuovi modelli di business, innovativi e sostenibili. La collaborazione abbraccerà diversi ambiti: dall'offerta di strumenti di accompagnamento e formazione per migliorare le proprie competenze in materia digitale e di sostenibilità, al
promuovere e supportare la propria competitività attraverso strumenti finanziari dedicati all'internazionalizzazione, al sensibilizzare le imprese su tematiche di genere, anche attraverso attività di ricerca congiunte.