Giorgio Armani, 89 ani a luglio, è considerato uno dei più grandi imprenditori della moda a livello mondiale - /Armani
Giorgio Armani ha gli occhi attenti dei bambini, occhi celesti, penetranti, che scrutano e che rispondono. E sono proprio gli occhi il primo tratto che colpisce del dialogo di Armani con Avvenire. Occhi che si concentrano in un colloquio sul fare impresa e sul senso del profitto; non sulle ultime tendenze della moda, ma sul significato dell’impegno nel lavoro e per gli altri, per una bellezza che sia per tutti. Anche nelle aziende.
«Il mio modo di fare impresa si basa sull’impegno e sull’etica del lavoro» dice Armani, che a luglio festeggerà 89 anni, guardando diritto chi scrive e aggiungendo: «Mi occupo di moda, ma con il tempo ho esteso la mia sfera d’azione al lifestyle, dagli arredi ai ristoranti. Lavoro in un settore molto più importante di quanto si pensi. E ci lavoro con serietà e grande senso di responsabilità. Ogni scelta è il frutto di un’attenta valutazione nella quale coinvolgo i miei collaboratori più stretti. Nulla viene lasciato al caso e ogni sfida è attentamente ponderata. Il mio rigore nel fare impresa, non può prescindere dall’etica e non ultimo dall’attenzione all’ambiente: lavorare bene, per me, vuol dire lavorare con coscienza, a tutti i livelli». Rigore, etica, attenzione, coscienza. E prima di tutto persone. Armani – che poche settimane fa ha ricevuto dall’Università Cattolica la laurea honoris causa in Global business management -, sottolinea: «Il vero capitale della nostra industria sono le persone che ne fanno parte. Per questa ragione, uno degli aspetti più complessi, ma anche più affascinanti e umanamente coinvolgenti del fare impresa, è garantire il giusto ambiente e avere la giusta intesa con i collaboratori». Ma c’è anche molto altro.
Gestire un’impresa è anche un po’ un’arte: «Come dirigere un’orchestra». Una condizione alla quale si aggiunge l’unicità di ogni organizzazione della produzione. «Lo scambio di energie umane rende ogni azienda speciale e irripetibile», spiega Armani che aggiunge poi un altro elemento per definire la buona impresa: la fedeltà nei rapporti umani. «Credo di poter dire con un certo orgoglio – fa rilevare -, che alla Giorgio Armani ci sono ancora persone assunte molti anni fa; alcune sono con me proprio dall’inizio, e questo è un segno di grande lealtà, ma anche la testimonianza del modo positivo in cui vivono il loro lavoro».
Buona impresa quindi come risultato di un processo complesso. Che passa anche per la “misura delle cose”. E dell’imprenditore. «Chi fa il mio mestiere deve avere un equilibrio molto sottile: un imprenditore deve essere decisionista, un leader forte che non perde di vista il benessere dei propri dipendenti; deve saper ascoltare tutti ma poi prendere le decisioni in modo autonomo; deve essere al passo con i tempi, ma ha il dovere di criticarli quando non gli piacciono. Mandare avanti un’azienda richiede saggezza, coraggio e visione». Dovere e solitudine, coraggio. Capacità che si acquisiscono nel tempo e che si devono coltivare passo dopo passo. Con l’umiltà di voler imparare sempre. «In tutti questi anni di esercizio continuo, credo di avere affinato la mia misura, ma sono consapevole che ogni giorno posso imparare qualcosa di nuovo».
Ma, quale è il cuore vero della responsabilità di un buon imprenditore? La risposta di Armani torna all’umanità che rende viva ogni impresa, ai valori. «L’essenza vera – dice -, è l’unione di attenzione verso l’azienda come organismo imprenditoriale e di rispetto per chi di questo organismo è il “motore”. La mia azienda è fatta di persone e il loro benessere è, da sempre, un aspetto centrale. Alla base di tutte le mie scelte c’è un solido sistema di valori capace di durare nel tempo». Valori tra l’altro raccolti e raccontati in un sito dedicato (ArmaniValues.com).
E il profitto? Dove finisce l’indicatore principe di ogni manuale d’impresa? «Deve rimanere, è il termometro del valore di un’impresa. Ma non va perseguito ciecamente, e neanche demonizzato: di fatto un’azienda sana e ben gestita è un’azienda che genera profitto». Torna così l’equilibrio come valore fondamentale. Gestire bene un’impresa vuol dire anche «non trascurare l’attenzione alla forza lavoro e l’impatto che la produzione ha sull’ambiente. Concretamente questo significa scegliere produzioni che abbiano sempre minore impatto ambientale e sostenere iniziative, come per esempio la più recente Apulia Regenerative Cotton Project, per lo sviluppo di cotone attraverso una coltivazione più rispettosa dell’ambiente».
Il terreno dell’Apulia Regenerative Cotton Project, a Rutigliano - /Crea
E non è ancora tutto. Il buon imprenditore per Giorgio Armani è anche colui che c’è sempre in prima persona. Contano molto l’atteggiamento e l’esempio. Dice: «Per un capitano d’azienda questo significa essere coinvolto in prima persona per seguire con coerenza ogni aspetto, con dedizione. È quanto io stesso ho appreso dai miei genitori e quanto faccio da sempre. Ritengo che solo attraverso la propria esperienza personale, le proprie scelte, si possano trasmettere valori così fondamentali. Nei manuali e nelle guide scritte non ho mai creduto».
Poi ci sono i giovani di cui tutti parlano, come si fa a coinvolgerli? Armani spiega deciso: «Coinvolgere i giovani significa creare un ponte fatto di rispetto, trasmettere saperi ed esempi fornendo ai volenterosi gli strumenti per costruire per loro stessi qualcosa di valido. Nutrire la generazione che succederà a noi e guardare al futuro».
«Per me l’unico modo di fare impresa è seguire la mia visione personale. È stato così fin dall’inizio. La mia esperienza è alla base della mia scelta di rimanere fieramente indipendente»
Già, il futuro e le sue sfide. Difficile parlarne in un momento in cui tutto sembra sempre più complesso e privo proprio di futuro. Armani però torna nuovamente alla sua storia. «Per me l’unico modo di fare impresa è seguire la mia visione personale. È stato così fin dall’inizio, quando con Sergio Galeotti ho fondato la Giorgio Armani e poi dieci anni dopo quando mi sono trovato da solo e ho dovuto inventare il ruolo di stilista-imprenditore. I momenti difficili non sono mancati, ma li ho sempre superati avendo chiaro lo scopo: esprimere in piena libertà il mio senso dello stile in ogni ambito del lifestyle. La mia esperienza è alla base della mia scelta di rimanere fieramente indipendente». E poi ancora: «Viviamo in una società nella quale l’imperativo è vincere, nella quale l’unico metro di giudizio per tutti è il successo. La verità dei fatti è che non ci può essere un percorso di impresa senza intoppi. Ogni percorso, di vita come di lavoro, ha i suoi accidenti e le sue difficoltà ed è solo superandoli che ci si evolve e si cresce veramente».
Il colloquio sta quasi per terminare, ma c’è ancora una domanda da fare, guardandosi negli occhi: chi è davvero Giorgio Armani? Risponde: «È una persona schiva, anche sospettosa, più morbida solo con pochissimi. Il ruolo, soprattutto quello di imprenditore, impone una serie di limiti e uno di questi è non mostrarsi troppo sentimentali. Negli anni ho imparato a “proteggermi”, riservando la parte più personale agli affetti più cari, ai quali avrei potuto dedicare più tempo».