giovedì 6 aprile 2023
Il colosso punta a sfruttare una normativa sulla bancarotta per chiudere con un accordo 40mila cause. I ricorrenti accusano i suoi prodotti, contenenti tracce di amianto, di aver provocato il cancro
J&J propone 8,9 miliardi per «assolvere» il suo talco

Reuters

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Dopo aver annunciato nei mesi scorsi lo stop alla vendita del suo borotalco in tutto il mondo a partire da quest’anno, il colosso farmaceutico statunitense Johnson & Johnson è intenzionato a chiudere la partita legale costituita da migliaia di cause in cui deve difendersi dall’accusa di aver provocato il cancro con i suoi prodotti a base di talco. Un’intenzione che passa, manco a dirlo, da un esborso in denaro, 8,9 miliardi di dollari, e che punta a sfruttare una normativa statale del Texas sulla bancarotta, sempre che i giudici non abbiano, sulla procedura, nulla in contrario. Per la società con sede in New Jersey, l’intesa, che deve ancora essere approvata da un tribunale, «risolverà in modo equo ed efficiente tutti i contenziosi». Ma non è detto che i ricorrenti siano proprio tutti d’accordo. Intanto per la cifra, ritenuta da molti ancora insoddisfacente.

Sono circa 40mila le cause intentate contro J&J per il suo talco contenente tracce di amianto, che secondo molti clienti provocava il cancro alle ovaie. L'azienda non ha mai ammesso illeciti, ma ha smesso di vendere il prodotto per bambini negli Stati Uniti e in Canada nel maggio 2020, prima di annunciare, lo scorso agosto, che interromperà le vendite in tutto il mondo da quest’anno. Secondo i consumatori, il gruppo avrebbe minimizzato, se non deliberatamente nascosto, i rischi di tumore causati dal prodotto, chiedendo un risarcimento. L’azienda, che ha annunciato la progettazione di un nuovo talco completamente a base di amido di mais, «continua a credere che queste affermazioni siano pretestuose e prive di valore scientifico».

Ciononostante, la multinazionale ha istituito una controllata, la Ltl Management, per far fronte alle cause legali, ricorrendo anche alle norme locali previste dalla bancarotta. In precedenza, J&J aveva proposto un accordo da 2 miliardi di dollari. Secondo l’azienda, l'accordo proposto non è «un’ammissione di illecito, né un'indicazione che la società ha cambiato la sua posizione e continua ad affermare che i suoi prodotti in polvere di talco sono sicuri». «Tuttavia, risolvere la questione nel modo più rapido ed efficiente possibile è nell’interesse dell’azienda e di tutte le parti», ha affermato il gruppo. Molti ricorrenti hanno condannato le manovre legali di J&J, definendole un abuso delle norme sulla bancarotta da parte di un conglomerato multinazionale che ha una capitalizzazione di mercato superiore a 400 miliardi di dollari.

Secondo il legale Andy Birchfield, le cause potrebbero risolversi facilmente «se solo Johnson & Johnson smettesse di giocare e di abusare del procedimento di bancarotta». J&J e la sua controllata sostengono che ricorrere alla procedura di fallimento costituirebbe una via d’uscita migliore per tutte le parti, visto che assicurerebbe transazioni a tutti i ricorrenti, rispetto alla “lotteria” delle cause in tribunale, in cui alcuni ricorrenti ottengono grandi risarcimenti e altri nulla. A gennaio la terza corte d’appello di Philadelphia ha respinto le manovre legali di J&J, sostenendo che la sua controllata non aveva alcun legittimo diritto alla protezione dal fallimento perché non era in difficoltà finanziarie. La corte ha puntato il dito su un accordo di finanziamento tra J&J e la sua controllata, dotata di mezzi finanziari adeguati per risolvere le cause legali. La multinazionale ci riproverebbe ora in Texas, provando al contempo a blandire i querelanti con 8,9 miliardi di euro. Ancora difficile dire se saranno, o meno, sufficienti per chiudere una vicenda lunga e dolorosa per tutti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Una confezione del talco sotto accusa / Reuters

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