Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia - Archivio
Dopo più di un anno di emergenza sanitaria, i lavoratori italiani si sono adattati al lavoro agile, ma desiderano recuperare la propria quotidianità. Il 78% vuole tornare in ufficio appena possibile, in parte per necessità lavorative ma anche per ricominciare a relazionarsi con i colleghi, uscire da una sensazione di isolamento e ricostruire l’equilibrio fra vita professionale e privata che aveva prima della pandemia. E l’83% sarebbe pronto a vaccinarsi, se fosse necessario per poter svolgere le proprie mansioni in presenza. Ma gli italiani, insieme a spagnoli (69%) e britannici (72%), sono anche i lavoratori più spaventati dal virus, con il 71% che non si sentirà sicuro finché le persone del proprio ambiente non si saranno vaccinate, ben 18 punti sopra alla media globale, e oltre un dipendente su due preferisce continuare a lavorare da casa fino a quando non sarà stata vaccinata la maggior parte della popolazione (53%).
Sono alcuni risultati del Randstad Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo del lavoro di Randstad, primo operatore mondiale nei servizi Hr, che ha analizzato la percezione dei lavoratori sul legame fra vaccini anti-Covid e lavoro e sui pro e contro dello smart working e del lavoro in presenza durante la pandemia. Una ricerca condotta in 34 Paesi nel mondo su un campione di oltre 800 dipendenti di età compresa fra 18 e 67 anni per ogni nazione.
«Dal successo della campagna vaccinale dipende la completa ripartenza del mercato del lavoro e del sistema paese – afferma Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia –. Lo sanno le imprese, che richiedono o incoraggiano i loro dipendenti a vaccinarsi, e lo sanno i lavoratori che nel vaccino ripongono grandi aspettative per la propria sicurezza e la propria occupabilità. Il timore del virus è ancora molto elevato e porta oltre metà dei lavoratori a preferire lo smart working, ma dalla ricerca emerge un forte desiderio di ritorno alla normalità con quasi otto dipendenti su dieci che vogliono tornare in ufficio appena possibile. In un momento così delicato entrambe le parti devono essere flessibili: i lavoratori devono mettersi a disposizione delle aziende, ma le imprese devono cercare il più possibile di costruire un ambiente di lavoro, in presenza o a distanza, attento alle loro esigenze e in grado di farli operare in serenità e in sicurezza».
Mi vaccino, quindi lavoro – Per gli italiani il vaccino è una garanzia di sicurezza, ma anche un’occasione per poter continuare a lavorare o trovare più opportunità di impiego. L’83% dei lavoratori è pronto a vaccinarsi se fosse necessario per poter svolgere il proprio lavoro (+8% rispetto alla media dei paesi analizzati), con punte del 90% fra i giovani sotto i 25 anni e del 93% fra gli over 55, e quasi sei dipendenti su dieci ritengono che potrebbero accedere a maggiori opportunità di impiego se vaccinati (il 59%, +3% rispetto alla media globale), percentuale che sale al 71% fra i lavoratori più giovani. Una spinta ad assumere il vaccino arriva anche dalle imprese: a oltre un terzo degli impiegati è stato richiesto di vaccinarsi dal datore di lavoro (35%, dieci punti sopra alla media mondiale) e il 53% è stato incoraggiato (+7%).
Oltre il lavoro agile – Quasi otto lavoratori su dieci vogliono tornare in ufficio appena possibile (78%), in particolare il segmento degli over 55 (85%). Un desiderio che si spiega solo in parte con le esigenze lavorative, perché, se è vero che il 50% ha una mansione che non si può svolgere da remoto e il 65% un capo che richiede di lavorare in presenza, oltre un lavoratore su due ha un impiego che consente totale o parziale flessibilità (55%) e un datore di lavoro che lascia libertà di scelta (54%). A spingere al rientro è anche il bisogno di tornare alla propria quotidianità: il 57% dei lavoratori ha nostalgia del rapporto con i colleghi, soprattutto fra gli uomini (60%) e i dipendenti 45-54enni (65%); quasi uno su quattro si sente isolato (23%), in particolare i giovanissimi (35%) e le donne (25%); e per oltre un terzo sta diventando difficile mantenere un equilibrio fra lavoro e vita privata (35%), con punte del 40% fra le colleghe e del 42% fra gli over 55. Molto meno pressanti le difficoltà “logistiche”, come la mancanza di uno spazio separato per lavorare (indicata solo dal 16%), di una connessione Internet stabile (16%), dell’attrezzatura adeguata (15%) o la condivisione dello spazio di lavoro con i figli (16%) o con il partner lavoratore smart (12%). Per circa quattro su dieci fra coloro che lavorano in modalità agile non c’è stata nessuna influenza sulla propria produttività, né positiva (40%) né negativa (39%). Ma riguardo alla componente emotivo-psicologica del lavoro da casa il campione si divide: il 27% è meno stressato, ma il 26% ha percepito più stress in questo periodo; il 24% ha sofferto la lontananza dal proprio team di lavoro, mentre è stato un vantaggio per il 12%; il 18% evidenzia come le condizioni di lavoro siano in continuo cambiamento e per il 16% lavorare da remoto è più difficile.
Il lavoro in presenza – La pandemia, però, ha cambiato anche il modo di lavorare in sede, con problemi non meno evidenti rispetto allo smart working. Ai piccoli disagi, come la necessità di dover portare sempre la mascherina (indicata dal 61% del campione) e l’autocertificazione nei periodi di mobilità limitata (17%), si aggiungono il sentirsi costantemente a rischio contagio (50%), il precario equilibrio fra vita professionale e privata (27%) e l’aumentato carico di lavoro per coprire i colleghi malati o in quarantena (22%). Per coloro che lavorano in ufficio questa scelta ha avuto un impatto più positivo (45%) che negativo (32%) sulla propria produttività. Un terzo del campione ritiene che le condizioni di lavoro si stiano adattando alle sfide poste dalla pandemia (32%), uno su cinque apprezza di poter lavorare vicino al proprio team (20%) e l’11% ritiene di avere meno distrazioni lavorando in sede. Quasi quattro dipendenti su dieci, però, hanno paura di ammalarsi e di rappresentare un pericolo per la propria famiglia (39%), il 25% è più stressato (contro appena il 6% che ha diminuito lo stress), il 26% evidenzia negativamente le condizioni di lavoro in continuo cambiamento e il 12% ritiene che lavorare in sede sia più difficile in questa fase.
La gestione del Covid da parte delle imprese – L’emergenza sanitaria è stato un evento improvviso anche per le imprese, che hanno dovuto riorganizzarsi per poter garantire la continuità di business e la sicurezza dei lavoratori. Non sempre le iniziative adottate sono andate di pari passo con le aspettative della forza lavoro. Le imprese hanno risposto positivamente alle prime due speranze dei dipendenti, l’adozione di regole sugli orari di lavoro, richieste dal 25% del campione e attivate secondo il 28% dei lavoratori, e di protocolli chiari e rigorosi per il lavoro in sede e in remoto, nelle attese del 24% e implementati per il 55% dei dipendenti. Solo il 5% afferma che il proprio datore di lavoro ha concesso indennità straordinarie per il lavoro da remoto (al terzo posto fra le richieste del campione con il 24%) e solo il 13% riporta che sono stati effettuati sondaggi regolari sul benessere dei dipendenti e sull’operato dell’azienda (attesi dal 19%). Le speranze dei lavoratori si sono concentrate anche sulla formazione: il 18% avrebbe voluto percorsi formativi sulle nuove tecnologie (attivati solo secondo il 16%), un altro 18% programmi per migliorare le competenze (implementati per il 12%) e il 17% maggiori opportunità di riqualificazione professionale (solo il 9% afferma di averne beneficiato). Nel complesso, però, la risposta delle imprese è stata positiva. Solo un quinto dei lavoratori cercherà nuove opportunità nel proprio settore, il 16% in altri settori e appena il 6% recensirà negativamente l’azienda in cui lavora. Quasi metà dei dipendenti, invece, intende restare in azienda a lungo termine (48%), circa un quarto si sente motivato a essere più produttivo (24%), il 19% a chiedere un aumento, il 16% a dare feedback positivi sul datore di lavoro, il 14% chiederà supporto per migliorare le proprie competenze e l’11% condividerà le offerte di lavoro aziendali con i propri contatti social.