Crescono le aziende attente ai temi della disabilità e della diversità - Archivio
Secondo un’indagine condotta da PageGroup su più di 100 imprese che operano in diversi settori - un campione costituito prevalentemente da manager di realtà che hanno tra 100 e 499 dipendenti (29,5%) - il 60,2% dichiara di essersi occupato di diversity management negli ultimi due anni. Il 22,7%, invece, non lo ha ancora fatto, ma lo farà nel prossimo futuro, mentre soltanto il 17% non lo farà. Le ragioni per le quali non è presente il tema dell'inclusione può essere riassunto in due macro-aree: valore aggiunto ancora non percepito (53,3%) e mancanza di risorse per approcciare il tema (26,6%). Per quanto riguarda il ruolo dei manager coinvolti in questi processi, dalla ricerca emerge che il 61,4% dei responsabili della Diversity opera in ambito Hr e che il 22,7% è di livello senior. «Sebbene – dichiara Pamela Bonavita, managing director di PageGroup – oltre il 60% delle aziende che abbiamo coinvolto nella nostra indagine percepisca il tema della Diversity & Inclusion come fondamentale, e questo è certamente un dato molto positivo, siamo ancora piuttosto lontani dagli standard europei: in Olanda, in Spagna o in Portogallo, infatti, più del 70% delle imprese ha a cuore questi temi e solo poco meno dell’8% non ha intenzione di occuparsene in futuro. Abbiamo sicuramente fatto grandi passi in avanti, ma purtroppo questo aspetto continua a non essere ritenuto di valore per quattro aziende su dieci. Credo che la ragione sia da ricercare nella mancanza di risorse o di capacità per approcciare un tema estremamente complesso, ma davvero molto importante. Una adeguata strategia di Diversity Management può portare enormi benefici a ogni azienda, anche a livello di business». Per le aziende intervistate, inclusione significa prevalentemente (65,9%) creare un ambiente di lavoro libero da molestie, intimidazioni e discriminazioni. Grande rilevanza assume, inoltre, il rispetto che deve essere garantito a tutti i dipendenti (58,5%). Quasi metà delle aziende intervistate (48,8%) ritiene, infine, che l’inclusione debba passare da un ambiente di lavoro in cui si valorizzino diverse prospettive. Due aziende su tre (72,7%) si impegnano a promuovere una flessibilità lavorativa che garantisca un miglior equilibrio tra vita professionale e vita privata; metà delle aziende intervistate (50%), invece, ha scelto di intraprendere un’attività di comunicazione interna ed esterna che mostri gli obiettivi ed i risultati della politica di Diversity Management. Per quanto riguarda i successi esterni, più della metà delle aziende intervistate (59,1%) ha riportato un miglioramento dell’immagine dell’azienda ed una maggior capacità di attrarre talenti o trattenere i talenti (52,3%). Tra i successi interni più rilevanti, invece, si segnala la creazione di un’ambiente di lavoro più stimolante (54,5%) e una maggiore soddisfazione e fidelizzazione dei dipendenti (38,6%). «Questi dati – aggiunge Bonavita – dimostrano quanto queste politiche abbiano un impatto positivo sia in termini di immagine esterna, sia di engagement delle risorse (attuali e potenziali). Un trend che, da quanto vediamo, si confermerà anche in futuro: le aziende intervistate che hanno intrapreso una politica di Diversity Management prevedono di poter esercitare una maggiore attrazione per i talenti (47,1%), di poter prevenire la discriminazione (43,1%) e di migliorare la propria immagine (35,3%)».
Viene confermato infatti che le pratiche inclusive sui temi di genere e identità di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socio-economico, disabilità e credo religioso (le sette aree della diversity su cui si concentra la ricerca) impattano positivamente sulla reputazione dell'azienda e sulla fiducia delle consumatrici e dei consumatori, riversandosi in un indice di passaparola positivo e risultati economici migliori. I marchi percepiti come inclusivi registrano un Nps (Net Promoter Score, indicatore del passaparola) in ulteriore crescita (+5,3 p.p.) rispetto all'anno precedente, attestandosi a +86,5%; per gli altri, l'Nps rimane invece molto basso, sebbene in attenuazione rispetto al 2021 (-77,2% vs -90,9%): un dato che conferma come il livello di attenzione e sensibilità del mercato verso questi temi si sia comunque alzato e come vengono registrati meno "scivoloni" sul tema. Si conferma inoltre il differenziale della crescita dei ricavi tra i due gruppi di aziende, con un +23% a favore di quelle percepite come maggiormente inclusive. I dati evidenziano ancora una volta come parlare di inclusione al mercato finale in maniera coerente e affidabile non abbia controindicazioni ma porti solo vantaggi. Sulla composizione settoriale dei primi 50 brand percepiti dal mercato come più inclusivi rispetto allo scorso anno si registrano dei rimbalzi che seguono la modifica dei comportamenti pandemici avvenuta fra il 2020 e il 2021: dopo il balzo in avanti dello scorso anno, retrocedono infatti le aziende dell’information Technology (-8 p.p.) e Media (-2 p.p.), insieme a Healthcare & Wellbeing (-2 p.p.). Riguadagnano terreno invece le aziende legate al Retail (+8 p.p.), in virtù di una maggiore possibilità di accedere agli spazi commerciali viste le calanti restrizioni pandemiche, che si conferma il settore più presente (28%), al FMCG (beni di largo consumo, +2 p.p.) e ai Consumer Services (+2 p.p.). Proseguono la loro marcata progressione le marche dell'Apparel & Luxury goods (+4 p.p.), registrando un balzo in 3 anni dal 6 al 20% e diventando il secondo settore più indicato, grazie in primis all'adozione di un'immagine più inclusiva nelle loro campagne (special collection e così via). Dalla ricerca l'Italia si conferma complessivamente un Paese con un buon grado di conoscenza, familiarità e contatto sui temi della diversity ma ancora con una scarsa pratica, con un divario tra il grado effettivo di contatto e quello del coinvolgimento; dopo anni di assoluta stabilità su questo fronte, nel 2021 qualcosa è cambiato. Nello specifico, disabilità, età e status socio-economico si confermano come le tre forme di diversità sulle quali la popolazione si sente più coinvolta, mentre scende lievemente il livello di familiarità, soprattutto nelle componenti del genere e dell'orientamento sessuale, e aumenta la percezione di contatto con le aree dell'etnia e della religione, controbilanciato da una percezione di minore interazione con orientamenti sessuali diversi dal proprio.
L'iniziativa di Andel e Università e-Campus
Gli strumenti per assicurare l’inclusione lavorativa delle persone disabili ci sono, funzionano ma non vengono applicati a livello nazionale. Come ha dimostrato Marino Bottà, direttore generale di Andel-Agenzia nazionale disabilità e lavoro, le buone pratiche esistono e sono fattibili: capendo il potenziale occupazionale di un’azienda, si è in grado di proporre l’inserimento di una persona disabile che ha le caratteristiche adatte per ricoprire quel determinato ruolo. Un altro strumento è quello delle cosiddette “adozioni lavorative”. Le aziende con più di 15 dipendenti che non assumono la loro quota di lavoratori disabili, sono tenute a versare 8mila euro a un fondo regionale. Secondo il progetto proposto da Bottà, questi 8mila euro potrebbero essere usati per pagare un datore di lavoro che offre un tirocinio retribuito a una persona che non è nelle condizioni di essere assunta. Utilizzando questo sistema, circa 800 persone con disabilità stanno già svolgendo tirocini. Oltre ad inserire nel mondo del lavoro le persone disabili, queste buone pratiche portano le aziende ad applicare le leggi già esistenti. Ma purtroppo la strada è ancora lunga. Il metodo delle “adozioni” proposto da Bottà oggi è applicato solo dalle regioni Lombardia, Liguria, Emilia Romagna e Veneto perché mancano gli strumenti burocratici. In attesa che la politica si attivi per fornire questi strumenti a tutto il territorio nazionale, l’Università e-Campus e Andel hanno unito le forze per creare il primo master italiano per la formazione di Disability Job Supporter, figura mediatrice fra persona disabile e il mercato del lavoro, dotata di competenze psico-pedagogiche, giuridiche ed economiche fondamentali per lo svolgimento di questo lavoro. Inoltre Andel si occuperà del placement dell’Università eCampus e congiuntamente metteranno in campo iniziative per promuovere sul territorio nazionale le buone pratiche di inclusione lavorativa per persone disabili e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni.
"Digital Diversity Week" dal 26 al 29 aprile
Dal 26 al 29 aprile si terrà la Digital Diversity Week, l'evento digitale dedicato alle aziende che vogliono raggiungere le persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette. Digital Diversity Week nasce dalla partnership tra Start Hub Consulting - la prima realtà a lanciare le job fair digitali - e Jobmetoo Seltis Hub – realtà specializzata nella consulenza in tematiche di Disability & Inclusion e ideatrice della piattaforma dedicata alla ricerca e selezione di persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette. Sul sito web dedicato all’evento, i candidati potranno conoscere le aziende partecipanti e inviare il proprio cv in risposta alle posizioni pubblicate o come candidatura spontanea. Allo stesso tempo, le aziende partecipanti avranno a disposizione strumenti dedicati alla consultazione e gestione ottimale delle candidature in ingresso.