Tra dicembre 2021 e marzo 2023, il saldo totale dei conti correnti di famiglie e imprese è calato di oltre 61 miliardi di euro, da 2.076 miliardi a 2.015 miliardi. In soli tre mesi, da dicembre 2022 a marzo 2023, la variazione negativa è stata pari a oltre 50 miliardi. E' quanto emerge da un'analisi della Federazione autonoma bancari italiani (Fabi). "Il rialzo del costo del denaro della Banca centrale - spiega il sindacato bancario - ha cambiato le carte in tavola per famiglie e imprese e con un mix imperfetto di tassi e inflazione, la ricchezza accumulata nel corso di anni corre il rischio di andare in fumo in tempi brevi. Sfrenata corsa dei prezzi, prestiti più onerosi e perdita di potere di acquisto sono solo alcune delle maggiori conseguenze di un meccanismo economico perverso che mina il tesoretto degli italiani e continua a metterne a dura prova la capacità di risparmi".
Intanto, continua l'analisi, si allarga sempre di più la forbice tra l'andamento dei tassi di interesse applicati ai prestiti e ai mutui e quelli su depositi e conti. Se i primi sono, infatti, aumentati ampiamente nel corso degli anni, permettendo alle banche di moltiplicare i propri ricavi e raggiungere l'unico obiettivo di accrescere gli utili favorendo così gli azionisti con dividendi sempre maggiori, gli altri sono rimasti pressoché invariati, dimostrando come agli istituti di credito interessi poco premiare chi deposita la propria liquidità in banca. Una realtà che trova conferma negli utili al 31 dicembre 2022 dei maggiori istituti di credito italiani, pari a 12,8 miliardi di euro, in aumento del 66% sul 2021, segno di ricavi in aumento, minore costo del credito e spese operative invariate. Va segnalato che le banche hanno cominciato ad aumentare i tassi su alcune forme di raccolta, come i depositi con durata prestabilita o vincolati e sui pronti contro termine, mentre tendono a mantenere remunerazioni particolarmente contenute sui conti correnti, ormai ritenuti sempre più un servizio e non una forma di risparmio.
Quanto alle “riserve”, dall'analisi di tutti i numeri dei conti correnti e depositi degli ultimi due anni, emerge con chiarezza un segnale di sofferenza generale perché l'erosione delle disponibilità liquide nel portafoglio delle famiglie e imprese non lascia dubbi sul sostegno che i “salvadanai” degli italiani hanno garantito all'economia del Paese, ma anche sulle difficoltà che gli stessi continuano a sperimentare nel preservare la propria liquidità accumulata con sacrificio e senso di protezione per un futuro ancora incerto. Già dai primi mesi del 2022, il carovita e l'inflazione non solo hanno invertito la tendenza al risparmio delle famiglie, pressoché prossima allo zero nei primi cinque mesi (in media pari allo 0,2% da gennaio a maggio) e con tassi di decrescita crescenti nel restante semestre, ma hanno dunque cominciato a erodere le riserve accumulate dal sistema produttivo italiano (per una percentuale pari all'1,4% ovvero 4,4 miliardi di euro), privo ormai di risorse finanziarie da devolvere agli investimenti.
Le famiglie italiane, ricorda la Fabi nella sua analisi, vantavano depositi sui conti bancari per circa 1.163 miliardi di euro alla fine dell'anno 2021 e 1.174 miliardi di euro a dicembre 2022 mentre la liquidità in conto posseduta dalle imprese si attestava a circa 428 miliardi di euro a fine anno 2022 e a 423 miliardi di euro lo scorso dicembre. Le due componenti, complessivamente, superavano i 1.500 miliardi a fine 2022 che, insieme alle disponibilità liquide di onlus, enti previdenziali ed assicurazioni, sfioravano il tetto dei 2.015 miliardi alla stessa data, contro i 2.076 miliardi di euro a fine 2021. Il decremento complessivo delle risorse depositate è stato pari, in soli tre mesi, a ben 50 miliardi di euro spesi per coprire consumi e investimenti. Se si analizzano tutte le forme di giacenza sui conti bancari, sono oltre 61 miliardi di euro i depositi totali “saccheggiati” dagli italiani a partire da dicembre 2021 fino ad arrivare a marzo 2023, utili per fronteggiare i danni economici subiti da inflazione e il ridotto potere di acquisto.