Probabilmente è italiano l’inventore del calendario furbo. L’idea, d’altra parte, è così geniale che non poteva sbocciare che nella patria della creatività: invece di dividere i trecentosessantacinque giorni dell’anno in dodici mesi di durata variabile, come in tutto il mondo facciamo da almeno un paio di millenni, li si può più organizzare in gruppi di ventotto. Quello che si ottiene è un anno fatto di tredici mesi, tutti corti come febbraio. Pazienza se resta lo scarto di un giorno: il tredicesimo mese può rivelarsi prezioso.
Per esempio se sono un’azienda di telecomunicazioni con un sacco di clienti abituati a pagarmi l’abbonamento mensile posso passare al calendario furbo e andare quindi all’incasso tredici volte l’anno invece che dodici. Se l’abbonato non ci fa troppo caso quando gli faccio sapere che per me d’ora in avanti i mesi durano tutti ventotto giorni e accetta la novità pagando tariffe simili a quelle di prima, il mio nuovo calendario può regalarmi un aumento dei guadagni di un dodicesimo all’anno, cioè dell’8,3%.
Il sospetto che il calendario furbo sia un’invenzione italiana è fondato: multinazionali che operano in mezzo mondo con le vecchie tariffe mensili da qualche tempo in Italia si sono messe a proporre abbonamenti con prezzi calibrati su ventotto giorni.
Chi ha cominciato
A scorrere i procedimenti e le istruttorie dell’Autorità Garante del Mercato e di quella delle Comunicazioni risulta che siano state le compagnie telefoniche le prime a provarci, a partire dalla primavera del 2015. Wind, sospettata di avere introdotto i primi abbonamenti "furbi" nel marzo del 2015, ha spiegato all’Autorità di avere rimodulato tutte le sue offerte ricaricabili per i nuovi clienti dopo essersi accorta che « le opzioni dei principali concorrenti, presentavano già un periodo di validità di 28 giorni». Poco conta chi ha iniziato. Il calendario da tredici mesi l’anno nel giro di pochi mesi è diventato la norma per gli abbonamenti telefonici in Italia, prima per quelli per la rete mobile e poi per la rete fissa e Internet. La sarda Tiscali, forse perché ostinata isolana, oggi è l’unica azienda che propone ancora qualche abbonamento mensile invece che da quattro settimane.
Ora tocca alla pay tv
Conquistato il mondo della telefonia, il calendario furbo si è allargato quest’estate a quello della televisione: a luglio Sky ha comunicato ai clienti che da ottobre i pagamenti si faranno ogni 28 giorni. A guardare le offerte del colosso di di Rupert Murdoch in Germania, Austria, Regno Unito e Irlanda sembra che al di là delle Alpi il calendario sia invece ancora fatto di dodici mesi l’anno. Anche per Vodafone il calendario pare essere diventato di tredici mesi solo in Italia o quasi: nelle offerte della multinazionale britannica le tariffe da ventotto giorni hanno conquistato solo India e Australia. Mentre in Germania iniziano a fare capolino solo tra le offerte ricaricabili. È come se piano piano si stesse cercando di fare digerire ai clienti la novità dell’anno da tredici mesi partendo da sperimentazioni in mercati specifici, come quello italiano, che è uno dei più competitivi per la telefonia mobile.
Multe Antitrust inefficaci
L’Antitrust ha comminato diverse multe agli operatori per come è stato gestito il passaggio dal vecchio calendario a quello nuovo, mentre l’AgCom a marzo ha deliberato che almeno per le linee fisse il criterio per le bollette deve essere il mese. Le compagnie hanno fatto ricorso al Tar e i giudici amministrativi dovrebbero decidere all’inizio del 2018. Le Autorità però non hanno il potere di costringere le compagnie a tornare al calendario tradizionale. Ci proverà il Parlamento, almeno se avrà successo la campagna su cui stanno lavorando nella maggioranza per obbligare le compagnie ad adottare una tariffa mensile. Anche una legge apposita potrebbe essere contestata dalle compagnie agli organi di giustizia nazionali ed europei, e con buone probabilità di successo dato l’evidente rischio di contrasto con le norme sulla libertà d’impresa. Quella del mese corta sarà in ogni caso una battaglia lunga.