sabato 19 dicembre 2020
Un ex meccanico resta senza arti e brevetta soluzioni innovative per sé e per gli altri
Fulvio Marotto

Fulvio Marotto - (Alfonso Lorenzetto)

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Può un ex meccanico senza mani e senza gambe inventare protesi innovative per amputati, brevettare sistemi rivoluzionari che permettono a chi è senza gli arti inferiori o superiori di guidare la motocicletta, la bici, l’auto, di sciare, pattinare, nuotare, giocare a tennis, andare in canoa e condurre una vita il più possibile 'normale'? Se non si conoscesse il trevigiano Fulvio Marotto la risposta sarebbe, molto probabilmente, 'no'. La storia di questo 55enne ex meccanico ha infatti dell’incredibile: dal 2003 senza più mani e gambe – amputate a seguito di una broncopolmonite degenerata in setticemia –, dopo un anno di ospedale e venticinque interventi chirurgici ha cominciato a progettare da sé le protesi di cui aveva bisogno: un po’ per evitare quelle dolorose lesioni alla pelle che i dispositivi forniti dai centri protesi gli procuravano, un po’ per rendersi autonomo dagli altri e un po’ per continuare a praticare i suoi tanti sport preferiti. «Appena uscito dall’ospedale mi feci accompagnare alla mia officina di Treviso, presi due tubi di alluminio e cominciai a costruire quello che per un anno intero avevo ben chiaro in testa: due arti con cui riuscire a muovermi. Dopo averli perfezionati un po’ decisi di passare alla fibra di carbonio, materiale molto flessibile e resistente grazie al quale ho potuto ricominciare a camminare per davvero». Sperimentando carichi e movimenti, calcolando altezze, misurando equilibri e assemblando componenti e materiali, nel giro di qualche anno ha inventato e brevettato non una singola protesi ma un vero e proprio sistema ortopedico per costruirle. «I normali dispositivi per gamba sotto il ginocchio, con la cuffia in silicone, mi provocavano molti problemi e allora mi sono messo a ragionare e a provare e ho inventato una particolare tipologia di protesi, senza le cuffie in silicone e con uno stampo realizzato 'sotto sforzo', così da permettere al peso del corpo di distribuirsi sul moncone», spiega il meccanico- inventore: «Sono pratiche, leggere, modificabili in base al cambio di volume del moncone e permettono alla persona di svolgere moltissime attività, anche di tipo sportivo: basta sostituire il piede alla gamba bionica e il gioco è fatto». Grazie alle sue protesi, in effetti, Marotto ha ricominciato a fare tutto ciò che faceva prima dell’amputazione (e, forse, anche qualcosi- na di più): ha ripreso la patente di guida, ha partecipato a due maratone, a una serie di competizioni su pattini a rotelle, a tornei di tennis, gare di motocross, discese sulla neve e, tra le altre cose, ad una iniziativa promossa nel 2009 dalla Usl di Treviso che lo ha visto percorrere 700 chilometri in bicicletta fino a Campobasso per raccogliere fondi con cui aiutare i disabili dell’Abruzzo colpito dal terremoto. «Lo scopo di un inventore è essenzialmente salvare vite», aveva scritto nel 1919 Nikola Tesla, ed è proprio questo che il geniale trevigiano fa da tempo: con il suo sistema ortopedico utilizzato nei maggiori centri protesi del mondo ha aiutato moltissime persone a rinascere, contribuendo a trasformare il loro problema in un’opportunità. E sta dando, allo stesso tempo, un importante contributo alla ricerca. «In questi anni di intenso lavoro – nei primi due nemmeno dormivo e stavo in capannone sette giorni su sette – ho brevettato e depositato diverse invenzioni: a parte le protesi, anche i sistemi per guidare la moto e per sciare. La mia moto, per esempio, è l’unica al mondo a non avere quattro archi ma marce sincronizzate e può essere guidata anche da chi ha perso entrambe le mani grazie a un adattatore per l’arto che permette di controllare fino a nove comandi. Ho cominciato da poco a costruire protesi del piede, sto lavorando ad una bici elettrica a tre ruote e due sterzi e ad una sella per bici su misura: ne ho realizzate anche per vari campioni di ciclismo. Inoltre, mi sto impegnando per riuscire a depositare altri brevetti, uno dei quali riguarda un piccolo particolare che andrebbe a rivoluzionare la ruota (qualsiasi ruota: dalla bicicletta alla lavatrice, al trapano e via discorrendo)». Il primo lo ha potuto depositare con il sostegno economico dell’Università di Trieste, alla quale poi sono seguiti altri atenei e aziende. «Per cercare finanziamenti ho partecipato anche allo Start Cup Veneto arrivando in finale con i miei progetti di dispositivi per sciare e guidare la moto», afferma ancora. Anche Oscar Pistorius voleva indossare le 'sue' gambe': «Per questo ci siamo visti e sentiti un paio di volte; poi a lui è successo quel che è successo e la cosa è finita lì». Tuttavia nella sua carriera di inventore non ha incontrato sempre brave persone: «C’è stato chi mi ha rubato un brevetto dopo aver firmato con il sottoscritto un accordo di riservatezza», racconta: «Le mie protesi, ad esempio, sono diventate il business di un tecnico ortopedico piemontese che mi contattò anni fa perché interessato a metterle in commercio: oggi questo 'signore' le produce e le vende a quattro mila euro l’uno. E non è stato certo l’unico, purtroppo. C’è poi il problema delle multinazionali, per le quali io sono una mina vagante, e, soprattutto, della burocrazia: ho lottato davvero duro in questi anni contro quegli uffici e quelle normative che tutelano i disabili solo sulla carta».

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