lunedì 3 luglio 2017
Serve una politica di inclusione e di diversità per età. Sono molti i pregiudizi reciproci tra Baby Boomer (i nati tra il 1946 e il 1964) e Millennial (dai 37 anni in giù)
Ecco come le aziende vivono lo scontro generazionale
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La generazione dei Baby Boomer, ovvero le persone nate tra il 1946 e il 1964, dovrebbero rappresentare per le aziende un insieme di talenti di grande esperienza, con una profonda conoscenza istituzionale, capacità imprenditoriale e un forte potenziale per guidare i colleghi più giovani e far loro da mentori. Invece, si tratta di valori spesso poco riconosciuti e “sfruttati” dalle imprese per l’assenza di politiche di inclusione studiate in base alle età.

Kelly Services, leader mondiale nella consulenza per le risorse umane, che offre su scala globale servizi di outsourcing, Hr, somministrazione e full-time placement, nella sua ultima ricerca ha indagato su questa categoria di lavoratori, ancora molto numerosa ma di cui spesso si ignora il capitale. Basato principalmente sui risultati del Kelly Global Workforce Index (KGWI), un sondaggio globale che raccoglie le risposte di 164.000 lavoratori di 28 Paesi, questo report offre una dettagliata panoramica sull’atteggiamento e la mentalità dei Baby Boomer nei confronti del mercato del lavoro attuale. Attualmente nelle aziende i lavoratori sono spesso divisi da un enorme divario legato all’età, con la convivenza di anche 5 “generazioni” all’interno dello stesso ambiente professionale. Questo trend, con l’aumento delle aspettative di vita e con il conseguente allungamento della permanenza sul luogo di lavoro, è destinato ad aumentare. Ma, mentre i lavoratori più anziani sono cresciuti con la tv in bianco e nero, i Millennial utilizzano i social network e i device tecnologici sin da quando hanno memoria. Come possono comprendersi persone con visioni, abitudini, strutture mentali e di linguaggio nate da esperienze e vissuti così differenti?

Una delle problematiche più scottanti della convivenza in azienda, è legata ai rispettivi pregiudizi: in che modo i Baby Boomer percepiscono i colleghi che appartengono a fasce di età differenti, soprattutto i Millennial, ovvero i nati dal 1980 in poi, ai quali vengono affidate responsabilità sempre crescenti nell’ambito della selezione e gestione del personale in azienda? Come invece i Millennial considerano e giudicano i loro colleghi più anziani?

L’atteggiamento, spesso ostile dal punto di vista lavorativo, dei Baby Boomer nei confronti dei Millennial non aiuta la gestione di questo rapporto. Molti degli atteggiamenti critici nei confronti dei colleghi più giovani potrebbero in parte spiegare gli ostacoli che spesso incontrano nell’ottenere un nuovo lavoro.
Anche la ricerca di Kelly Services mostra come molti Baby Boomer, in Italia, mantengano ancora una percezione piuttosto negativa sulle caratteristiche lavorative dei Millennial. Per esempio, il 56% dei Baby Boomer crede che tendano a pretendere profitti e riconoscimenti immediati mentre il 34% ritiene che i Millennial tendano a manifestare un senso di “acquisizione di diritto” e che non abbiano la volontà di dedicare il tempo necessario al lavoro duro o a portare a termine i loro compiti. Solo il 12% dei Baby Boomer ritiene, inoltre, che i Millennial siano concentrati sull’obiettivo: tra i lavoratori di tutti i gruppi generazionali, la stessa considerazione nei confronti dei Millennial ha una percentuale più alta (22%). Infine, solo il 18% dei Baby Boomer crede che i Millennial diano importanza al lavoro di squadra, rispetto al 38% dei Millennial che si attribuisce questa caratteristica.

Dal momento che il gruppo dei Millennial ha una forte voce in capitolo nel prendere le decisioni nel campo delle assunzioni, questi pregiudizi potrebbero, in qualche modo, danneggiare le prospettive di impiego dei Baby Boomer.

Ma proviamo a invertire i fattori: come i Millennial vedono (e giudicano) i Baby Boomer? Dalla ricerca di Kelly Services, emerge un altro interessante dato: il 26% dei Millennial italiani ammette di tendere a sfidare o contestare l’autorità formale o la catena di comando tradizionale sul posto di lavoro. Questo potrebbe significare un ulteriore problema per i candidati Baby Boomer. Per esempio, i Millennial che hanno la responsabilità di assumere personale potrebbero sospettare che i Baby Boomer risulteranno impiegati difficili, se credono che la loro seniority dovrebbe automaticamente suscitare un senso di autorità. Esasperando delle potenziali tensioni sul posto di lavoro, i Millennial sono il gruppo che ha più probabilità di mantenere alcuni stereotipi negativi sui Baby Boomer. Per esempio, la maggioranza dei Millennial italiani (68%) crede che i Baby Boomer non siano al passo con i tempi quando si parla di tecnologia. Inoltre, il 67% afferma che i Baby Boomer siano disinteressati e non disposti ad aggiornarsi per imparare nuove abilità.

Come si può notare, sono molti i pregiudizi reciproci tra le due generazioni “opposte” in azienda.

Altre differenze tra i due gruppi ruotano intorno al desiderio di una flessibilità lavorativa. Arrivati quasi al termine delle proprie carriere, molti Baby Boomer cercano più tempo libero e meno responsabilità rispetto ai Millennial, che invece aspirano a fare carriera. Se si analizzano le ragioni che spingerebbero i Baby Boomer a accettare un lavoro piuttosto che un altro, per esempio, il 45% menziona accordi di lavoro flessibile, comparato con un più modesto 41% dei Millennial italiani.

La ricerca condotta da Kelly Services mostra, inoltre, come i cambiamenti demografici coincidano con un’erosione della percezione che i Baby Boomer hanno sulle proprie prospettive lavorative e sul senso di sicurezza nell’ambito del lavoro: i lavoratori più anziani tendono a essere meno sicuri del loro valore di mercato rispetto ai Millennial. Dalle domande di auto-valutazione delle competenze, emerge che i lavoratori più giovani hanno maggiore fiducia nel proprio valore sul mercato del lavoro: il 39% dei Millennial, infatti, ritiene di trovarsi in una posizione fortemente richiesta, mentre solo il 36% dei Baby Boomer lo pensa. Allo stesso modo, all’affermazione “Se prendessi in considerazione un cambio di lavoro, sono in una posizione favorevole per assicurarmi una posto migliore o molto simile all’attuale” risponde di essere d’accordo il 26%Baby Boomer, e, un più alto, 29% dei Millennial italiani.

Ci sono delle differenze, anche molto evidenti, tra le generazioni italiane e quelle europee: solo il 28% dei Baby Boomer e il 22% dei Millennial italiani afferma che “ogni volta che ho provato, sono riuscito a trovare un lavoro migliore”. In questo caso, non è tanto la differenza intergenerazionale a destare stupore, quanto la differenza tra Italia ed Europa: alla stessa affermazione, hanno risposto positivamente ben il 49% dei baby boomer e il 53% dei Millennial europei.

Molti Baby Boomer hanno buone ragioni per preoccuparsi delle proprie prospettive di impiego. La discriminazione legata all’età continua a essere una realtà sul luogo di lavoro, nonostante leggi ad hoc introdotte in molti Paesi. I problemi relativi all’età si piazzano nelle prime posizioni tra le cause che potrebbero portare i Baby Boomer a non essere reintrodotti velocemente nel mondo del lavoro in caso di perdita del proprio posto di lavoro. In alcune ricerche di mercato commissionate dalla Commissione Europea nel 2012, si evince che più della metà degli Europei (54%) ritiene che aver superato i 55 anni pone chi cerca lavoro in una posizione di forte svantaggio. La percezione che la discriminazione di età si sia diffusa a macchia d’olio è particolarmente alta nei paesi dell’Est Europa come Ungheria e la Repubblica Ceca. È più bassa nell’Europa occidentale e nel Nord Europa e in nazioni come la Danimarca e l’Irlanda.

Ogni volta che un lavoratore va in pensione, l’azienda perde competenze, esperienza, relazioni e conoscenza aziendale: tutto questo richiede tempo e denaro per poter essere sostituito. Per questo motivo, le aziende dovrebbero essere pronte ad adottare, comunicare e rinforzare una politica di inclusione e di diversità per età che incoraggi, valorizzi e sappia gestire la diversità in azienda e l’impegno per un luogo di lavoro aperto a tutti. È anche fondamentale il monitoraggio del funzionamento effettivo di queste politiche: i datori di lavoro dovrebbero agire, dove necessario, per risolvere le discriminazioni.

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