Il workshop di Confcooperative - Andrea Vitariti
Oltre 250 cooperative, più di 6.500 soci, 335mila tra utenti e beneficiari garantite da circa 1.000 persone occupate, in prevalenza donne. È questo l’identikit di un fenomeno che sta ridando speranza e un futuro ai territori delle aree interne: le cooperative di comunità. Imprese promosse da chi vive nei territori che rischiano lo spopolamento con l’obiettivo di creare opportunità di sviluppo per contrastarne il declino economico, sociale e demografico. Se ne è parlato oggi a Roma al Palazzo della Cooperazione nel corso del workshop promosso da Confcooperative Dall’economia dell’io all’economia del noi: le cooperative di comunità. «Con le cooperative di comunità – ha sottolineato Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative – la cooperazione fa un ulteriore salto evolutivo, dal mutualismo degli albori, tra gli anni 80 e-90 del secolo scorso siamo approdati al solidarismo e oggi arriviamo al comunitarismo. La cooperazione si adegua ai tempi e amplia il suo orizzonte aggiungendo un altro tassello alla cura della fragilità, da quella delle persone con la cooperazione sociale e sanitaria, a quella dei territori di cui con le cooperative di comunità si fa carico oggi dello sviluppo di intere comunità e territori a rischio abbandono». Un esempio di sussidiarietà, in pieno spirito cooperativo che per crescere ha bisogno di norme che ne favoriscano lo sviluppo. «Al legislatore – ha aggiunto Gardini – chiediamo un quadro normativo certo con regole che sappiamo sostenere la nascita e la crescita di queste nuove esperienze cooperative, uno dei pochi argini al rischio dell’abbandono di territori». «Le cooperative di comunità sono una pedina fondamentale per valorizzare tutte le potenzialità di un territorio dalle eccellenze agroalimentari, alla cultura al turismo. Contiamo entro un anno di arrivare all’approvazione della legge», ha detto Massimo Bitonci, sottosegretario al ministero delle Imprese e del Made in Italy, intervenendo al workshop. «La fragilità dei territori dipende da tante cose. La stessa connessione internet dove in molti territori non arriva determina l'arretratezza di un territorio. Occorre rovesciare, schemi e modelli. Va rivista la piramide. Ripartire dalle periferie per arrivare al centro, non sempre partendo dal centro si arriva alle periferie», ha affermato monsignor Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento - coordinatore Aree interne della Conferenza Episcopale Italiana. «La comunità è la protagonista dei modelli di crescita e di sviluppo. I modelli non vanno calati dall'alto devono partire dalle comunità che va rimessa al centro e resa capace di crescere. La chiesa, il governo, ognuno deve fare la sua parte. Noi – ha concluso don Mario Pagniello direttore Caritas Italiana – faremo la nostra parte insieme a Confcooperative».