I nostri giovani non sono dei "bamboccioni". Anzi, risultano più realisti dei loro genitori, piuttosto disincantati e con assai poca fiducia nel mercato del lavoro italiano. Sono i risultati della ricerca "I giovani italiani e la visione disincantata del lavoro - divergenze e convergenze con genitori e imprese", realizzata da Gi Group, multinazionale italiana del lavoro, in collaborazione con Od&M Consulting, che fotografa l'universo giovanile rispetto al tema lavoro confrontandolo con il punto di vista degli adulti e delle aziende.
Ma come vedono il lavoro i giovani d'oggi e cosa rappresenta per loro? Per trovare lavoro e fare carriera, mentre genitori e imprese credono nel merito (tra cui competenze, titolo di studio, sapersi presentare bene, usare strumenti di ricerca, annunci), 8 giovani su 10 considerano altrettanto importanti i fattori non meritocratici, fra cui emergono fortuna e conoscenze, in particolare di persone potenti.Per i ragazzi gli aspetti importanti del lavoro sono: buone relazioni, condizioni oggettive tra cui la sicurezza del posto di lavoro e, a seguire, gli aspetti espressivi, tra cui contenuti interessanti e miglioramento dello stipendio; mentre meno importanti gli aspetti legati alla crescita professionale e alla carriera, considerati, invece, di più da genitori e aziende.Dall'indagine emerge pure che il lavoro, per il 42% dei giovani, rappresenta per lo più la possibilità di portarea casa uno stipendio, solo in seconda battuta un'occasione di realizzazione personale (36%), rendendo evidente, quindi, la prevalenza del suo aspetto strumentale. Da segnalare in controtendenza donne, laureati, lavoratori autonomi e con contratto flessibile, che mettono al primo posto la realizzazione personale (43%). Nonostante il quadro negativo di crisi economica, i giovani però non si arrendono: 9 su 10 considerano, infatti, la perseveranza il fattore più importante per trovare impiego, così come i loro genitori e le aziende. E anche se per più di 1 giovane su 4 il settore pubblico rappresenta il lavoro ideale, 1 su 6, se potesse scegliere, avvierebbe una propria attività, contrariamente al 25% dei genitori che vorrebbe impiegato il proprio figlio in una multinazionale; pochissimi giovanisceglierebbero una Pmi (6,5%).
Interessante notare come i ragazzi considerino il lavoro manuale un "male necessario"; sono più propensi ad accettarne uno rispetto ai genitori, se pure in condizioni di alta professionalità, stipendio adeguato o temporaneamente (pari merito 28,5%). Otto ragazzi su 10, infine, dichiarano di essere disposti a trasferirsi per lavoro, anche se per lo più in altre regioni d'Italia (circa 40%) o in Europa, mentre le aziende consigliano quasi tutte i Paesi dei Brics.Per Stefano Colli-Lanzi, amministratore delegato di Gi Group, "instabilità generale, mancanza di punti fermi,crisi persistente sembrano aver minato lo slancio proprio dei giovani, che appaiono disincantati, pragmatici e meno rampanti rispetto al passato e ai genitori, ma più realisti e decisi a tenere duro a fronte della crisi e del crescere della disoccupazione". "Si tratta di una generazione di mezzo - conclude Colli Lanzi - che, da una parte, porta con sè il retaggio di una certa 'culturà del passato, tale per cui l'unico modo per trovare lavoro sembra dipendere dalle conoscenze giuste; dall'altra, però, sta prendendo coscienza di avere la responsabilità del proprio futuro".