L'evidente distanza esistente tra i progetti della mobilità su ruote e la sua realtà, rischia di spiazzare chi oggi si chiede quale sarà la sua prossima automobile, e quale propulsione la farà partire. La campagna di demonizzazione dei motori a gasolio – che nella loro forma più moderna restano invece ancora il miglior compromesso tra prestazioni, consumi e impatto ambientale – ha suggestionato la politica, pronta a cavalcare l'indignazione per il "dieselgate" spargendo calendari di divieti prossimi futuri. E spinto a credere molto superficialmente che l'opzione elettrica sia la soluzione di tutti i mali ambientali, e soprattutto sia a portata di mano. Di certo invece la rivoluzione non è imminente, anche se la Norvegia dal 2025 bandirà le auto a benzina e diesel, la Cina punta a due milioni di veicoli elettrici venduti in un anno entro il 2020 e 7 milioni al 2025, pari al 20% del totale. Tempi più lunghi per Francia e Regno Unito che hanno posto come scadenza il 2040. Pochi però hanno dato risalto ad una ricerca secondo la quale per far muovere in elettrico solo le auto attualmente presenti in Inghilterra occorrerebbe una disponibilità di energia dieci volte più alta di quella prodotta dalla più moderna centrale nucleare oggi in funzione. Restando all'Italia poi, certi annunci hanno del surreale: alla Commissione Ambiente e Lavori Pubblici che un paio di mesi fa ha approvato all'unanimità una risoluzione per vietare la vendita di veicoli a combustione fossile dopo il 2040, qualcuno dovrà ricordare che prima di "sparare" propositi a effetto, forse sarebbe più urgente costruire strade senza buche, e (magari) pensare a un piano energetico adeguato, considerando che l'Italia già oggi è costretta a importare i 3/4 dell'energia che consuma. E solo per accendere la tv o la lavatrice.
Fiat-Chrysler esclusa (per scarsa convinzione, e soprattutto a causa dei suoi ritardi strutturali) anche i costruttori oggi sembrano voler ragionare solo in elettrico. E a investire di conseguenza. Ma con la consapevolezza di non essere pronti alla rivoluzione ecologica, al punto da chiedere all'Europa di rinviare di 9 anni (dal 2021 al 2030) la scadenza per la riduzione obbligatoria delle emissioni di Co2. È questo il doppio passo proposto dal Salone di Francoforte, aperto al pubblico sino a domenica 24 settembre. Due anni dopo l'inizio del "dieselgate" le case automobilistiche, soggette a norme sempre più vincolanti, mettono in vetrina decine di nuovi modelli a batteria per dimostrare la volontà concreta di una svolta. E forse anche per gettare un po' di fumo negli occhi. Volkswagen ha annunciato un piano ambizioso con investimenti oltre i 20 miliardi di euro per l'auto elettrica entro il 2030. Mercedes invece anticiperà di tre anni il lancio di dieci modelli elettrici, il cui arrivo sul mercato è previsto entro il 2022 con un investimento di 10 miliardi di euro a sostegno della flotta. A sua volta, BMW risponde con i numeri: quest'anno la casa di Monaco punta a vendere oltre 100mila vetture elettriche, quasi il doppio del 2016.
«Gli obiettivi europei sul clima di lungo termine andrebbero riconsiderati in base alla realtà del mercato. In questo momento la domanda di auto elettriche in Europa è bassa, e non per mancanza di disponibilità di chi le fabbrica ma per mancanza di infrastrutture di ricarica, settore nel quale i Paesi membri dovrebbero investire di più», ha sottolineato Dieter Zetsche, presidente dell'Acea e numero uno del gruppo Daimler. L'associazione dei costruttori chiede alla Commissione Europea anche di individuare le soluzioni più efficienti in termini di costi e di tenere in considerazione le implicazioni sociali della transizione a veicoli a basse emissioni, visto che l'industria dell'auto europea dà lavoro a 12,6 milioni di persone, pari al 5,7% degli occupati nella Ue.