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Nell’Africa sub-sahariana il coronavirus si è diffuso meno che in altre aree del mondo. Con 130 casi ogni milione di abitanti, per quanto il dato possa essere sottostimato, il livello di contagio è più basso di quelli registrati in Europa e in America. Anche l’effetto economico della pandemia è più modesto.
Le previsioni aggiornate la scorsa settimana dal Fondo monetario internazionale dicono che quest’anno il Prodotto interno lordo dell’area calerà del 3,2% per poi risalire del 3,4% nel 2021. Se andrà davvero così, già l’anno prossimo il Pil dell’Africa sub-sahariana tornerà ai livelli pre-crisi. Altrove, ad esempio in Europa e ancor più in Italia, per recuperare il Pil bruciato a causa della pandemia ci vorrà molto più tempo. Se poi si escludono le due maggiori economie dell’area, Nigeria e Sudafrica, il calo del 2020 si riduce a un -0,6% mentre il rimbalzo del 2021 sale al 3,8%.
Il quadro sarebbe insomma quasi rassicurante, se si ignora il punto di partenza. Economie robuste come quelle degli Stati Uniti e, in parte, dell’Europa, possono permettersi di subire un incredibile crollo del Pil e poi ripartire. Secondo i numeri del Fmi, era dagli anni ’70 che l’economia africana non subiva una caduta simile. Per un’area del mondo che comprende 23 delle 29 nazioni classificate come “a basso reddito” dalla Banca Mondiale e in cui il prodotto interno lordo pro capite medio è di soli 1.585 dollari a testa uno stallo dell’economia significa l’aumento del rischio di morire di fame per milioni di persone.
Secondo le stime della Banca Mondiale la pandemia spingerà 26 milioni di africani in una situazione di povertà estrema, quella di chi ha un reddito inferiore agli 1,90 dollari al giorno. Nello scenario peggiore, quello in cui una seconda ondata del virus rende di nuovo necessari i lockdown, l’aumento degli africani in povertà estrema raggiungerebbe i 36 milioni. Il Pil pro capite reale rischia di scivolare ai livelli del 2010, vanificando un intero decennio di sviluppo.
Come tutti i governi del mondo, anche quelli dell’Africa sub-sahariana sono intervenuti per dare una spinta alla ripresa economica. Certo, le risorse sono limitate. Calcola il Fondo monetario internazionale che le nazioni africane hanno annunciato pacchetti fiscali di rilancio per un valore complessivo pari al 3% del Pil. Questo sforzo, nota il Fmi, «spesso è arrivato a spese di altre priorità, come gli investimenti pubblici, ed è significativamente inferiore alla risposta vista in altre economie emergenti o avanzate».
Nel solo 2020, calcola il Fondo, gli Stati dell’Africa sub-sahariana hanno bisogno di 110 miliardi di dollari di spesa aggiuntiva per gestire l’emergenza e spingere il rilancio. Sono già arrivate già diverse forme di aiuto internazionale. La sospensione del pagamento dei debiti da parte del G20 e dello stesso Fmi ha “liberato” 14 miliardi di dollari di interessi che quest’anno non saranno rimborsati.
Sempre il Fmi ha allentato i requisiti per l’accesso alla sua linea rapida di credito e tra febbraio e giugno l’ha usata per finanziare queste nazioni con 10,1 miliardi di dollari complessivi ed è pronta ad arrivare a 16 miliardi entro fine anno. Dalla Banca Mondiale sono arrivati aiuti per più di un miliardo di euro.
Secondo i calcoli del Fmi c’è però bisogno di finanziamenti per almeno altri 44 miliardi di dollari per il solo 2020. Kristalina Georgieva, direttore del Fondo monetario internazionale, ha proposto di emettere mille miliardi di dollari di «diritti speciali di prelievo» per dare al Fmi nuovo spazio di intervento. Gli Stati Uniti si sono opposti. La strada più semplice sarebbe quella già nota: un taglio del debito, sia da parte dei governi che da parte dei creditori privati, o almeno un “congelamento” più duraturo. Ma su questo non si vedono ancora passi avanti concreti.