Rischiano di affondare. E non solo a causa del cambiamento climatico. Il pericolo più imminente per le Maldive si chiama infatti mercato finanziario. Il prossimo 8 ottobre quello che è considerato uno dei principali paradisi turistici al mondo potrebbe infatti finire in default, in quella che sarebbe anche una crisi del tutto inedita a livello globale. L’arcipelago, infatti, è chiamato entro quella scadenza a pagare una cedola su circa 500 milioni di cosiddetti “sukuk” in scadenza nel 2026, ma le casse statali non sono così floride: sarebbe la prima volta di un default legato alla finanza islamica.
I sukuk sono bond conformi ai precetti della tradizione musulmana più rigorosa, la sharia, che proibisce il ricorso agli strumenti di debito che remunerano l’investimento attraverso il pagamento degli interessi, oltre al rimborso del capitale. La remunerazione di un sukuk non è dunque un dividendo, non è un interesse, come per le obbligazioni di diritto occidentale, ma una quota dei profitti che l’asset finanziario sottostante produce. Un mercato dalle dimensioni considerevoli: dopo il primo trimestre del 2024, a livello globale le emissioni di sukuk avevano raggiunto un valore totale di 867 miliardi di dollari. Negli ultimi anni le Maldive hanno emesso sukuk per finanziare lo sviluppo delle infrastrutture, ma le ultime settimane hanno visto un tracollo delle quotazioni delle obbligazioni islamiche, a causa dei timori degli investitori generati dalle sempre più precarie condizioni finanziarie del Paese. A giugno 2024, le riserve in valuta estera delle Maldive sono scese a 395 milioni di dollari, al di sotto dei 500 milioni dello scorso maggio e poco più della metà dei 700 di un anno fa.
Le somme immediatamente disponibili, peraltro, si attesterebbero intorno ai 45 milioni di dollari. Nel frattempo, i sukuk denominati in dollari in scadenza nel 2026 sono scesi sotto i 70 centesimi per un dollaro. Si tratta del livello più basso di sempre: a inizio agosto il bond viaggiava sopra gli 80 centesimi; a giugno era abbondantemente sopra i 90. Lo scorso 25 agosto Bank of Maldives, il principale istituto di credito dell’arcipelago, ha annunciato delle limitazioni alle spese in valuta estera dei propri clienti, un segnale a dir poco preoccupante. Pochi giorni dopo, l’agenzia Fitch ha annunciato un downgrade – il secondo da giugno – del rating del debito a lunga scadenza denominato in dollari da CCC+ a CC, citando «la contrazione delle riserve di valuta estera, gli alti costi a servizio del debito e i limitati flussi di cassa dall’estero».
Il livello CC è una soglia vicina alla tanto temuta D, che indica, appunto, il default. Circa l’80% del reddito derivante dal turismo – che costituisce circa i due terzi del Pil annuale delle Maldive – lascia le isole e non rientra nell’economia maldiviana. In altre parole, le Maldive utilizzano le proprie risorse umane e naturali per guadagnare denaro dall’industria del turismo, tuttavia, i residenti locali e il governo generalmente non ne beneficiano, anche perché gran parte dei resort è di proprietà straniera. Le conseguenze della pandemia di Covid – che per un paio d’anni ha ridotto notevolmente i flussi turistici – si sono inoltre protratte fino ad oggi.
In totale le Maldive sono esposte per 3,4 miliardi di dollari verso i creditori stranieri, con le “exim bank” di Cina – sponsor del presidente eletto l’anno scorso, Mohamed Muizzu – e India, partner storico, in prima linea. Proprio la Reserve Bank of India sta trattando con l’autorità monetaria maldiviana la concessione di una linea di credito da 400 milioni di dollari, che potrebbe temporaneamente dare respiro alle finanze del Paese, scongiurando così il rischio di default. Ma per le soluzioni a lungo termine ci sarà bisogno di accordi e strategie di respiro più ampio.