A gennaio crescono le assunzioni, ma restano ancora molti inattivi - Archivio
Nel mese di gennaio le assunzioni attivate da datori di lavoro privati sono state 663.249, in forte crescita rispetto alle oltre 461mila dello stesso mese dell'anno scorso, a fronte di 499.339 cessazioni, anche queste in aumento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente (+51%), con un saldo positivo di 163.910 rapporti di lavoro. Lo indica l'Osservatorio sul precariato dell'Inps. Complessivamente l'incremento delle assunzioni a gennaio ha interessato tutte le tipologie contrattuali: assunzioni intermittenti +74%, contratti di somministrazione +49%, contratti a tempo indeterminato +46%, in apprendistato +45%, a tempo determinato +38% e stagionali +35%. Questo andamento, sottolinea l'Osservatorio Inps, riflette la dinamica della pandemia da Covid-19, particolarmente significativa nei primi mesi del 2021. Le trasformazioni da tempo determinato nel primo mese del 2022 sono state 86mila, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2021 (+72%). Anche per le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo si registra una dinamica positiva (12mila, +14% rispetto all'anno precedente). Tra le cessazioni se ne registrano 152mila di contratti a tempo indeterminato e 167mila di contratti a termine. Positivo anche il saldo annualizzato, vale a dire la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi 12 mesi, che identifica la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro (differenza tra le posizioni di lavoro in essere alla fine del mese osservato rispetto al valore analogo alla medesima data dell'anno precedente). Dopo gli andamenti negativi registrati nei mesi più acuti della prima fase della pandemia (antecedente all'avvio della vaccinazione di massa), a partire da marzo 2021 il saldo annualizzato ha segnato un continuo recupero. A gennaio 2022 si registra un saldo pari a 720mila posizioni di lavoro. In particolare, per il tempo indeterminato la variazione positiva risulta pari a 153mila unità mentre per l'insieme delle altre tipologie contrattuali la variazione complessiva è pari a 567.000 unità, con un ruolo rilevante dei rapporti a termine. Confrontando la situazione a gennaio 2022 con gennaio 2019 (pre-pandemia) si registra un saldo decisamente positivo per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+379 mila); anche per l'insieme delle altre tipologie contrattuali a livello biennale il saldo risulta marcatamente positivo (+292 mila) grazie all'ampio recupero delle perdite che erano state registrate nel 2020. Inoltre, nel corso del primo mese del 2022 sono aumentate le assunzioni in somministrazione sia a tempo indeterminato (+104%), sia a termine (+46%). Anche per le cessazioni si rileva un aumento per le due tipologie contrattuali, con andamento analogo alle assunzioni.
A marzo risale la cassa integrazione
Riprende a salire la Cig-Cassa integrazione a marzo rispetto a febbraio scorso: sono state 56 milioni infatti le ore autorizzate in totale per la Cig. In aumento la Cigs-Cassa integrazione straordinaria, del 40,5% sul mese precedente e la Cigo-Cassa integrazione ordinaria del +20,9% mentre è in calo del 47,6% la richiesta di ore di Cigd-Cassa integrazione in deroga. È quanto rileva l'Inps che registra però come rispetto al marzo 2021, in piena pandemia, il dato complessivo, pari a 282 mln di ore autorizzate, sia in forte calo del 92,1%. Le ore di Cigo autorizzate a marzo 2022 sono state dunque quasi 22,3 milioni con una variazione congiunturale rispetto ai 18,4 milioni di ore di febbraio del 20,9%. Rispetto al mese di marzo 2021, durante il quale le ore autorizzate erano state 282 milioni, si registra invece una variazione del -92,11%. Il numero di ore di Cigs autorizzate a marzo 2022 è stato pari a 24,6 milioni, di cui 9,9 milioni per solidarietà, con un incremento del 40,5% rispetto a quanto autorizzato nello stesso mese dell'anno precedente (17,5 milioni di ore). Rispetto a febbraio 2022 si registra una variazione congiunturale pari a +0,8%. Gli interventi di Cigd autorizzati a marzo 2022 sono stati pari a 2,0 milioni di ore. La variazione
congiunturale rispetto al mese precedente registra un decremento del 47,6%. A marzo 2021 le ore autorizzate in deroga erano state 114,8 milioni con una variazione tendenziale del -98,3%.Il numero di ore
autorizzate a marzo 2022 nei fondi di solidarietà infine sono state pari a 7,3 milioni, con un decremento del 58,4% rispetto al mese precedente. A marzo 2021 le ore autorizzate erano 227,6 milioni, con
una variazione tendenziale del -96,8%.
Il numero totale di ore di Cig autorizzate nel periodo dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2022, per emergenza sanitaria, è pari a 6.647,2 milioni, di cui 2.734,8 milioni di Cig ordinaria, 2.417,4 milioni per l'assegno ordinario dei fondi di solidarietà e 1.495,0 milioni di Cig in deroga. A marzo scorso, rispetto a
febbraio, siano state autorizzate 8,1 milioni di ore con causale "emergenza sanitaria Covid-19" pari ad un calo del 62,8% rispetto alle ore autorizzate del mese precedente. Le autorizzazioni hanno interessato 111 aziende per la Cigo per circa 266mila ore, a 2.192 aziende per l'assegno ordinario con 5,9 milioni di ore e a 3.039 aziende per la Cigd con due milioni di ore. Per quanto riguarda la Cig, i settori che assorbono il maggior numero di ore autorizzate sono "industrie tessili e abbigliamento" con 88mila ore, "pelli cuoio e calzature" con 81mila ore e "attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese" con 38mila ore. Questi tre settori assorbono il 63% delle autorizzazioni del mese di marzo. Per la Cigd, i settori che hanno avuto il maggior numero di ore autorizzate sono "commercio" con un milione di ore e "alberghi e ristoranti" con 428mila ore, seguiti da "attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle
imprese" con 185mila ore. Questi tre settori assorbono l'83% delle ore autorizzate a marzo per le integrazioni salariali in deroga. I settori con più ore autorizzate nei fondi di solidarietà sono: "alberghi e ristoranti" con 2,6 milioni di ore, "attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese" con 986mila ore, "sanità e assistenza sociale" con 796mila ore e "commercio" con 513mila ore. Geograficamente parlando è il Piemonte che ha avuto il maggior numero di ore autorizzate di Cigo con 73mila ore, seguito da Lombardia con 55mila ore e Campania con 52mila. Per quanto concerne la Cigd le regioni per le quali sono state autorizzate il maggior numero di ore sono state: Lazio con un milione di ore, Sicilia con 215mila e Campania con 164mila ore. Per i fondi di solidarietà, le autorizzazioni si concentrano in Lombardia (1,6 milioni di ore), Lazio (1,2 milioni), Emilia Romagna (649mila) e Veneto (479mila).
Ricerca Randstad sugli inattivi
L’Italia ha almeno quattro milioni di occupati in meno rispetto alla media europea, un enorme spreco di capitale umano da cui potrebbe attingere: ben 26 milioni di lavoratori inattivi, di cui il 60% donne
(quattro su dieci concentrati nel Sud e nelle Isole), oltre cinque milioni di giovani. Nel nostro Paese è inattivo il 25% della popolazione tra i 15 e i 64 anni. La media europea è al 20,5%. Peggio di noi fanno solo Montenegro, Croazia e Belgio. L’inattività giovanile si attesta fra le più elevate in Europa: rispetto alla media, abbiamo 4,2 punti percentuali in più. Sono 3,6 milioni gli uomini inattivi in Italia, il 23% della popolazione maschile nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 69 anni, più di uno su cinque. Un dato più alto di cinque punti rispetto alla media europea, che dimostra come l’alto tasso di inattività non riguardi solo la popolazione femminile, socialmente più svantaggiata, ma sia un problema strutturale, dovuto a diversi fattori. Primo fra tutti, la difficoltà di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e l’alto numero di pensionati già a partire dai 50 anni, segue l’elevato ricorso alla Cig e alla disoccupazione di lungo termine, insieme al ritardo nella formazione continua e al precariato, che rendono i lavoratori difficilmente occupabili in un contesto di ristagno dell’economia. È quanto emerge dal rapporto Le isole degli uomini inattivi di Randstad Research. Quasi il 43% degli inattivi tra i 30 e i 69 anni si trova nel Sud e nelle Isole (oltre 1,5 milioni), il 28,5% del totale degli uomini che abitano in quelle regioni. Quasi un uomo su 3, quindi, è inattivo. Sempre nel Mezzogiorno risiede il 63% degli inattivi tra i 30 e i 34 anni e quasi il 70% degli inattivi tra i 35 e i 39 anni. Nel resto d’Italia la percentuale di inattivi sulla popolazione si ferma al 19,2% e 19,4% rispettivamente nel Nord Ovest e nel Nord Est, e al 20% nel Centro. Spesso l’inattività non è una scelta: 1,2 milioni, il 42% del totale (molto più della media europea, che si attesta al 26%), vorrebbero lavorare, ma hanno scarsa fiducia nel mercato del lavoro e hanno di fatto smesso di cercarne uno. A questi si aggiungono 800mila disoccupati che cercano attivamente lavoro.
Nella ricerca si evidenzia come uno dei problemi peculiari del nostro Paese, a cui l’inattività è collegato, sia quello della bassa produttività del lavoro e della scarsa crescita economica. Tra il 1995 e il 2020 il nostro Pil è cresciuto solo dello 0,3% e l’Italia, tra tutte le economie avanzate, registra il peggior andamento di crescita produttiva. A questo si aggiunge anche l’alto numero di pensionati, soprattutto in fasce di popolazione ancora relativamente giovani. Il 16% dei pensionati italiani ha tra i 50 e i 59 anni, e un altro 27% ha tra i 60 e i 64 anni. I cosiddetti ‘baby pensionati’. Si tratta molto spesso di persone coinvolte in crisi aziendali, risolte con scivolamenti verso la pensione o verso pensionamenti anticipati.
Analizzando gli ultimi 15 anni sembra che nel breve periodo, in Italia, disoccupazione e inattività seguano due direttrici opposte. Al crescere della prima, la seconda scende. Le spiegazioni possono essere di due tipi: secondo la prima, quando l’economia va bene un buon numero di inattivi scoraggiati decide di presentarsi nel mercato del lavoro e va a ingrossare il numero dei disoccupati. Una seconda spiegazione può essere che politiche attive del lavoro possano rappresentare shock positivi che spingono i beneficiari a uscire dall’inattività transitando dalla disoccupazione. Nel resto d’Europa, invece, emerge una relazione strutturale per cui disoccupazione e inattività sembrano seguire lo stesso andamento: Paesi con bassa disoccupazione presentano, in genere, anche un basso livello di inattività.
Sul fronte della disoccupazione l’Italia presenta dati più elevati della media europea. La disoccupazione di lungo periodo rappresenta spesso l’anticamera dell’inattività. I disoccupati, aumentati con la pandemia, inoltre, si sono allontanati dal mondo del lavoro, diventando progressivamente meno occupabili. Secondo i ricercatori, anche il largo uso fatto in Italia della Cassa integrazione rischia alla lunga di alimentare rapporti di lavoro tenuti in vita solo dai sussidi, mentre sarebbe più saggio investire nella formazione dei lavoratori.
Per quel che riguarda il lavoro precario, secondo Istat, tra tempo determinato e part time involontario, oltre il 25% del totale degli occupati risulta in condizioni di insicurezza. Inattività, disoccupazione prolungata, lavoro poco qualificato possono generare la perdita di competenze, tanto maggiore quanto minore è il livello di conoscenze accumulato in precedenza.
Anche sul fronte della formazione continua, l’Italia registra tassi più bassi della media europea in tutte le classi d’età, con valori che sono nettamente inferiori agli altri principali paesi europei. Nella fascia 35-44 anni il tasso di partecipazione maschile alla formazione continua, in Italia, si ferma al 6,4% contro il 12,4% della Francia e il 10% della Spagna. Nella fascia successiva, dai 45 ai 54, nel nostro Paese il tasso è pari al 5,5%, contro il 10,1% della Francia e l’8,1% della Spagna.
L’alta percentuale di inoccupati contiene al suo interno un bacino di potenzialità inespresse. Opportunità che potrebbero essere sfruttate anche grazie alle occasioni offerte dal Pnrr. Il piano consente infatti investimenti importanti che potrebbero migliorare le competenze di base dei lavoratori, favorire l’accesso qualificato al lavoro con politiche attive e formazione professionale, sviluppando attività innovative.