Ansa
Dimissioni da record nell’anno del ritorno alla normalità dopo la “pausa” della pandemia che ha congelato per due anni il mercato del lavoro. Quelle rassegnate sono state 2 milioni e 200mila con un aumento del 13,8% rispetto al 2021, quando erano state 1 milione 930 mila. I dati della nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, diffusi ieri e relativa al periodo ottobre-dicembre evidenziano però un’inversione di tendenza. Nell’ultimo trimestre le dimissioni sono state 529mila con un calo del 6,1% (-34 mila) rispetto al 2021 che ha coinvolto in misura maggiore gli uomini (-7,2%) rispetto alle donne (-4,4%). In termini assoluti il numero delle dimissioni resta superiore rispetto al 2019. Il fenomeno delle ‘grandi dimissioni’ testimonia un nuovo dinamismo del mercato del lavoro, legato da un lato alla ricerca di retribuzioni più alte per far fronte all’inflazione, dall’altro alla volontà migliorare la qualità della vita. L’Istat ha certificato questa corsa all’occupazione con i dati di gennaio: gli occupati sono tornati a livelli pre-Covid, vale a dire 23 milioni e 300mila, con un tasso di occupazione del 60,8% mentre disoccupazione e inattività son in calo. In forte aumento però anche i licenziamenti: nell’intero anno, sempre sulla base dei dati delle comunicazioni obbligatorie del ministero, sono stati 751 mila, in aumento del 30,2% rispetto ai 577 mila del 2021, periodo in cui era però in vigore il blocco, deciso durante la pandemia. Nel solo quarto trimestre dell’anno scorso sono stati 193mila (-4 mila sul quarto del 2021, -2,3%) e, quindi, come avviene per le dimissioni si interrompe il trend di crescita annua dei licenziamenti rilevato a partire dal secondo trimestre del 2021 e collegato anche alla riduzione registrata nel periodo 2020-2021. In valori assoluti, negli ultimi tre mesi del 2022 il numero di licenziamenti si attesta ancora al di sotto (-46 mila unità) rispetto al livello registrato nel quarto trimestre del 2019.Per i sindacati il dinamismo del mercato è un fattore positivo ma servono politiche a medio-termine.
«I nuovi dati sulle dimissioni volontarie confermano un importante cambiamento nel rapporto tra vita privata e lavoro. I lavoratori mostrano di voler cercare miglioramenti alla propria condizione salariale e professionale e hanno meno timori nell’abbandonare una condizione di cui non sono pienamente soddisfatti» sottolinea il segretario confederale della Cisl Giulio Romani. Per Romani occorre avviare una riflessione sul potenziale delle imprese italiane, oggi il 95% ha meno di 10 dipendenti, e sulle tematiche della sostenibilità sociale e ambientale. «Serve un patto sociale per rilanciare la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Un tema che è una priorità non più eludibile a cui la Cisl - annuncia Romani - intende offrire una soluzione attraverso l’imminente presentazione di un disegno di legge popolare sul tema». «L’aumento delle dimissioni è segno di una maggiore mobilità nel mercato del lavoro, anche se si deve capire se sono determinate da un passaggio a un posto di lavoro migliore o se avvengono anche senza una prospettiva. Questo dato non è chiarissimo» sottolinea la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti. In quest’ottica il «calo delle dimissioni negli ultimi tre mesi dell'anno potrebbe rispecchiare una congiuntura economica un po' più negativa e un mercato meno attrattivo». La segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese si dice preoccupata per “l’ennesimo cambio di passo” da parte del governo sui contratti a termine. «Si va verso un peggioramento per la parte più debole del rapporto di lavoro, aumentando fino a 24 mesi la “causalità” del contratto. Chiediamo un tavolo di confronto su questo tema, perché si deve passare per la contrattazione collettiva di settore».