L’autrice di questa analisi è la presidente di Women In International Security (WIIS) Italy e la Coordinatrice del Network delle Donne Mediatrici del Mediterraneo, un’iniziativa lanciata dal ministero degli Affari esteri nel 2017
Secondo le Nazioni Unite, nel 2022 più di 600 milioni di donne e bambini vivevano in paesi afflitti dai conflitti, un numero che rappresenta il 50 per cento in più rispetto al 2017, e che sicuramente è aumentato negli scorsi mesi. Donne e bambine rappresentano anche il 75 per cento dei rifugiati e sfollati a rischio di guerre, persecuzioni, carestie e disastri naturali. Eventi terribili per l’intera popolazione, ma con un effetto ancora più devastante per le donne, che spesso si ritrovano in una posizione più vulnerabile, in un contesto in cui le disuguaglianze pre-esistenti diventano ancora più pronunciate, la violenza è diffusa e sempre più spesso lo stupro diventa un’arma.
In quanto vittime, colpite in maniera sproporzionata da conflitti e da crisi umanitarie, potremmo presumere che le donne siano coinvolte anche nelle decisioni che riguardano il futuro del loro paese e nelle varie fasi di negoziazione della pace.
Le donne hanno rivestito, ad esempio, un ruolo fondamentale nel processo di pace del Nord Irlanda, i cui sforzi valsero il Premio Nobel a Betty Williams and Mairead Maguire, o in Colombia, mentre nelle Filippine la pace che ha posto fine ad un quarantennale conflitto è stata firmata per la prima volta da una donna. Eppure si tratta di eccezioni.
Nonostante gli impegni presi in sede internazionale, ad esempio con l’adozione dell’agenda donne, pace e sicurezza nell’ormai lontano 2000, i numeri non sono incoraggianti. Tra il 1992 e il 2019, le donne hanno rappresentato in media il 13 per cento dei negoziatori, il 6 per cento dei mediatori, e il 6 per cento dei firmatari di accordi nei principali processi di pace nel mondo. Nel 2022, il livello generale di partecipazione delle donne in qualità di delegate in rappresentanza delle parti in conflitto si è attestato intorno al 16 per cento. Una situazione che riflette una diffusa e persistente disuguaglianza di genere, che riguarda la partecipazione delle donne in tutti i settori, dal mondo del lavoro alla politica, e che, secondo le stime più ottimiste, potremo colmare tra circa 130 anni. L’ assenza delle donne dai tavoli decisionali ha un impatto sull’intera società, ed è quindi una questione che riguarda tutti.
Le donne meritano un posto a quei tavoli perché rappresentano la metà della popolazione e ne riflettono bisogni ed esigenze. E si tratta certamente di una questione di parità di genere, di giustizia, di diritti umani, di democrazia, aspetti che dovrebbero caratterizzare società moderne e avanzate. La loro partecipazione, tuttavia, è essenziale anche da un altro punto di vista.
Se vogliamo identificare nuove soluzioni di fronte alle enormi sfide che ci troviamo a fronteggiare, con quella innovazione e creatività che posso scaturiscono soltanto da uno scambio di idee e prospettive e da un processo inclusivo, abbiamo bisogno di beneficiare dei talenti e delle competenze delle donne, della loro conoscenza specifica, della loro posizione all’interno di famiglie e comunità. Questo ci permette anche di avvalerci delle loro capacità di leadership, che differiscono da quelle maschili, e che, senza cadere in generalizzazioni, sono solitamente riconosciute per essere caratterizzate da una maggiore empatia, capacità di ascolto e avversione al rischio, e da una visione di lungo periodo improntata anche al bene comune delle future generazioni.
Solo così possiamo negoziare degli accordi di pace che siano sostenibili nel tempo e costruire delle società realmente resilienti, stabili, pacifiche. I dati della ricerca ce lo confermano: secondo UNWOMEN, quando le donne sono coinvolte nei processi di pace, la probabilità che l’accordo raggiunto duri più di 15 anni aumenta del 35 per cento. Includere più donne, quindi, vuol dire dare anche una possibilità in più ad una pace inclusiva e duratura.C’è un altro aspetto importante da tenere in considerazione: pur essendo in gran parte assenti dai tavoli formali e decisionali, le donne costruiscono spesso la pace nel loro quotidiano.
Se guardiamo a quanto accade al di là dei tavoli formali, le donne, cioè, non sono davvero assenti, quanto piuttosto invisibili. Attiviste, mediatrici, peacebuilders, lavorano instancabilmente dietro le quinte, facilitano il dialogo e rafforzano la resilienza delle proprie comunità, sono di sovente in prima linea per mitigare la violenza o gli effetti delle crisi, o per chiedere un cessate il fuoco. Creano così i presupposti della pace. Ed è per questo che è importante raccontarne le storie, dare il giusto riconoscimento e valore al lavoro di queste donne che con coraggio e determinazione, e in circostanze eccezionali, fanno già la differenza, e sostenerlo, affinché possa diventare catalizzatore di quel cambiamento profondo di cui tutti abbiamo bisogno.
Alcune di queste donne sono ad esempio parte del Network delle Donne Mediatrici del Mediterraneo, un’ iniziativa lanciata dal Ministero degli Affari esteri italiano nel 2017 e realizzata in collaborazione con l’Istituto Affari Internazionali (IAI) e Women In International Security (WIIS) Italy, che riconosce chiaramente il ruolo chiave che le donne rivestono per la stabilità della regione, diventando così un esempio concreto di come si possa dare voce a queste donne, promuoverne una partecipazione significativa in tutti gli aspetti della costruzione della pace, e sostenerle, creando una rete di solidarietà e di empowerment.
Tra queste donne, oggi più di sessanta, vi sono ad esempio Lea Baroudi, fondatrice e direttrice di una ong che aiuta il suo paese, il Libano, a riconciliarsi con il passato e a costruire un futuro diverso, combattendo la radicalizzazione delle nuove generazioni; o Magda Zenon, paladina dei diritti umani in un paese che deve ancora fare i conti con un confine interno, come Cipro; Edita Tahiri, riconosciuta come unica negoziatrice di pace nei Balcani; o, ancora, Rida Altubuly, impegnata nella promozione di un dialogo intergenerazionale per costruire la pace in Libia; e Ouided Bouchamaoui, parte del Quartetto che ha contribuito a una nuova Costituzione in Tunisia, e per questo ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace.
Ma anche donne palestinesi e israeliane, dilaniate ora da una nuova guerra, a cui tentano di rispondere con una cultura del dialogo. Senza dimenticare le donne afghane, con cui WIIS Italy ha creato una task force che riunisce donne leader afghane che hanno avuto in passato ruoli apicali in ambito di politica estera o diplomazia. Donne che spesso oggi sono costrette a vivere lontano dal proprio paese, ma che, fiere, forti e decise, sono diventate la voce del loro popolo. Queste donne possono aiutarci a comprendere meglio le radici di quanto sta accadendo in un paese che tenta di cancellare le donne, e contribuire a costruire un futuro diverso.
Non esistono più scuse per escludere le donne.
Perché le donne sono potenti agenti di cambiamento e va riconosciuto il loro protagonismo nella costruzione della pace. Perché la guerra in Ucraina e in Medio Oriente, e i tanti conflitti ancora presenti nel mondo, ci ricordano in maniera drammatica che la pace non può essere data per scontata, e che abbiamo bisogno di uno sforzo collettivo per raggiungerla, consolidarla, proteggerla. Perché abbiamo bisogno di costruire delle società diverse, davvero inclusive, per beneficiare dei talenti e delle competenze di tutti, uomini e donne, con un impatto positivo sulla crescita e sulla stabilità dei nostri paesi.
Il cambio di rotta necessario deve essere accompagnato da un cambiamento culturale, a cui tutti possiamo contribuire, e da un impegno politico più forte e incisivo, che metta in campo le politiche e le misure necessarie per colmare il divario di genere e alleviarne le conseguenze.
La presidenza italiana del G7, che avviene in un momento particolarmente complicato, e il venticinquesimo anniversario dell’agenda donne, pace e sicurezza, che festeggeremo l’anno prossimo, ma anche le numerose elezioni all’orizzonte, rappresentano tutte delle occasioni da non perdere, in cui ridare centralità alle donne e al loro ruolo chiave per rispondere alle sfide del nostro tempo.