sabato 1 giugno 2024
La giornalista investigativa si batte per i diritti dei prigionieri, soprattutto per quelli delle donne separate dai figli anche per azioni pacifiste
Un ritratto di Eva Markacheva

Un ritratto di Eva Markacheva - .

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Eva Merkacheva è una giornalista investigativa, scrittrice e docente di giornalismo. Scrive per un quotidiano tra i più diffusi del paese, Moskovskij Komsomoletz, ed è autrice di trasmissioni radio e TV. Ma Eva è nota in Russia anche per il suo impegno per i diritti umani, in qualità di membro del Consiglio Nazionale per i diritti umani. Le sue pubblicazioni hanno ampia risonanza e i suoi libri dedicati al tema delle carceri e dei detenuti hanno avuto un grande successo. Per il suo lavoro e impegno di giornalista-attivista rappresenta un caposaldo, un punto di riferimento sicuro per chi nel paese cerca ascolto per cause difficili e in particolare chi fra i detenuti è più vulnerabile e fragile tra cui soprattutto donne. Nonostante il quadro travagliato della società russa per la mobilitazione nell’operazione militare speciale e le sue conseguenze, la vita quotidiana continua e c’è chi prova a occuparsi della difesa dei diritti umani. Grazie alle sue inchieste diversi casi sono stati portati alla luce e sono stati risolti. Oggi si parla spesso delle condizioni dei prigionieri politici ma c’è anche la dimensione “normale” dei detenuti “normali”. Quella delle persone semplici, le più indifese perché povere. Di questa “normalità” Eva si occupa tutti i giorni. Eva è sicuramente una concreta figura di pace se con questa parola intendiamo il suo senso pieno. Non solo assenza di guerra, che già oggi sarebbe tanto necessaria ma appunto quell’insieme di condizioni che dovrebbero fare di una società, uno spazio umano e civile in cui i diritti delle persone vengono rispettati. Grazie a persone come lei oggi nonostante tutto accade. Pure in Russia.

Quando si parla di te si dice che tu sia una giornalista e al tempo stesso attivista per i diritti umani.

Ogni vero giornalista è un difensore dei diritti umani perché scrive articoli che possono cambiare il mondo, aiutare le persone ad affrontare i loro problemi. Studiando il caso su basi obiettive, con il nostro lavoro possiamo riuscire a definire il problema aiutando così a provare a risolverli. Ogni giornalista è un potenziale difensore dei diritti umani. Ad esempio nel fare inchiesta mi son resa conto che affrontando un caso, facendolo emergere dal buio, questo veniva considerato e spesso risolto. C’è stato un periodo durante la presidenza Eltsin, quando i giornali rappresentavano il 4° potere. Dopo i primi tre- legislativo, giudiziario ed esecutivo- il quarto erano i media. Come usava dire il giudice supremo “In cosa un procuratore somiglia a una mosca? Entrambi possono essere colpiti con un giornale”. Era un tempo in cui chiunque, funzionario o personalità, poteva essere messo al suo posto grazie al servizio di un giornale.

Fai parte del Consiglio Nazionale per i diritti Umani. Perché hai iniziato ad occuparti dei diritti dei detenuti?

Tutto è iniziato quando sono entrata nel gruppo di lavoro composta da esperti, inclusi giuristi e giornalisti, dedicato specificamente alle condizioni delle carceri. I protagonisti delle mie inchieste sono detenuti o cittadini appena rilasciati. Ho portato alla luce diversi casi. In quel contesto possiamo interloquire direttamente con gli operatori del sistema penitenziario, possiamo avanzare richieste e partecipare alla elaborazione di proposte sulle norme riguardo i carcerati. Conosco bene le leggi e quali sono i diritti di chi è dietro le sbarre. Si tratti di condannati o in attesa di giudizio, qualunque sia la ragione per cui sono finiti in carcere, e posto che innanzitutto si dimostri che sono colpevoli, devono scontare la pena in condizioni civili. Altrimenti come potremmo dire di essere migliori di chi commette un crimine?

Hai scritto un libro proprio sulle carceri?

Si, sulle colonie penali destinate agli ergastolani. Sono 7 e si trovano in diversi angoli del paese. Molti tra quelli che là sono detenuti sono responsabili di omicidi, maniaci, pedofili, serial killer ma anche persone che si dicono innocenti. Alcuni erano già stati condannati a morte ma poiché in Russia dal 1996 c’è la moratoria sulla pena capitale, sono stati graziati. La Corte Costituzionale vieta da allora la pena di morte e nessuno è stato più fucilato. Per reintrodurla si dovrebbe cambiare la Costituzione ma nessuno sembra intenzionato a farlo.

Sono stati arruolati anche detenuti per andare al fronte. In cambio, dopo 6 mesi, la cancellazione della pena. Dal tuo osservatorio cosa emerge da questo genere di casi?

Si, sono persone anche condannate a 20, 30 anni. Tra loro però nessun ergastolano. Ogni settimana ricevo lettere da questi ultimi. Chiedono di poter andare al fronte. Sapendo che la loro condanna è a vita e che sarebbe l’unico modo per tornare in libertà.

Alcuni di questi sono già tornati e ricevuto la grazia nonostante crimini orribili. Ha destato disappunto nell’opinione pubblica?

Si, ci sono stati casi di questo genere. Di cui ho scritto io stessa e altri. Ci sono vittime e loro cari contrari alla loro liberazione.

Veniamo alle donne di cui so che ti occupi in modo particolare.

Una buona parte di loro è in carcere per fatti di droga. Alcune sono loro stesse tossicodipendenti e hanno bisogno di essere assistite. Bisogna che ciò venga garantito. Spesso per le loro situazioni difficili in questo modo si guadagnavano da vivere. Cerco di concentrare l’attenzione su questi casi più fragili. C’è una donna ad esempio che ha un bimbo di un anno. Una ragazza madre. Ho scritto un appello affinché possa scontare la pena ai domiciliari per poter crescere il figlio che come tutti i figli ha bisogno della madre. Faccio spesso questo genere di appelli per sostenere i casi delle donne più in difficoltà.

E capita che vengano accolte le tue richieste?

Non sempre. Ma a volte si ed è un sollievo. Vuol dire che quello che facciamo serve.

Il caso dell’artista Evgenya Berkovitch?

Ho scritto di questo caso e anche lanciato un appello per lei. Evgenya ha due figlie adottive che ho incontrato. Una in particolare ha davvero bisogno della sua mamma. Era stata respinta da altre famiglie in precedenza e con Evgenya aveva finalmente trovato l’accoglienza e la serenità tanto sognata. Ora vive una prova durissima. Dal momento dell’arresto hanno potuto vedere la madre solo due volte. Anche per questo caso ho chiesto che vengano concessi gli arresti domiciliari. Per legge nel nostro paese se i figli sono minori di 14 anni si concede questa possibilità ma nel caso di Berkovitch sono entrambe più grandi.

Ci sono casi di giovani come Alexandra Skochilenko, perfino minori come Daria Kozyreva, arrestati per gesti pacifici di protesta. Pensi possano ottenere condanne più lievi?

Non conosco bene i due procedimenti. I casi sono tantissimi. Si possono avanzare istanze e se la difesa può contare su bravi giuristi questo può aiutare. Credo sia necessario considerare la situazione oggettiva in cui ci troviamo. Lo Stato sostiene di dovere difendere il paese e i suoi cittadini. Penso che questo sia il tempo di agire per la pace attraverso altre forme. Ad esempio l'arte o qualunque altro genere di espressione creativa, ci avvicinerà alla pace qui e con il resto del mondo.

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