mercoledì 26 giugno 2024
Nell'ambito della settimana di aggiornamento del Centro di aggiornamento pastorale una tavola rotonda su fede e nuove tecnologie: tra opportunità e rischi, così cambia la parrocchia
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Sempre meno fedeli, strutture magari grandiose ma sempre più povere, organizzazione sempre più faticose perché le dinamiche di appartenenza stanno venendo meno e la rete del volontariato che un tempo assicurava un impegno militante - spesso scambiando l’attivismo con la coerenza verso i principi evangelici - appare sempre più fragile. Ma per riequilibrare comunità che appaiono sempre più in crisi può venire in soccorso la risorsa digitale? Quanto la tecnologia può integrare, se non sostituire almeno in parte, il mondo fisico delle comunità?

Domanda affascinante - e forse un po’ inquietante - quella affrontata ieri sera a Seveso, nella sezione conclusiva della seconda giornata di riflessioni alla 73esima Settimana del Centro di orientamento pastorale. Inquietante perché la tavola rotonda - a cui hanno preso parte il “prete social” don Alberto Ravagnani; il direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della diocesi di Milano, Stefano Femminis; il teologo don Luca Peyron; l’ideatrice di “Parole o Stili”, Rosy Russo e l’organizzatore di eventi, Luca Caci - è stata introdotta da un video preparato da alcuni allievi di un progetto di pastorale digitale. Alcune brevi lezioni di catechesi biblica messe a punto grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale e proposte da un’affascinante catechista che in realtà è un avatar. Più distopia che profezia, secondo la logica dell’onlife, quell’ambiente ibrido, in cui non c’è più differenza tra online e offline che fotografa bene il mondo dell’iperconnessione.

Ma davvero la parrocchia può ripensarsi digitale, addiritura onlife? A guidare la tavola rotonda ieri sera c’era Fortunato Ammendolia, un super esperto di nuove tecnologie applicate alla fede, di intelligenza artificiale, coordinatore di progetti di pastorale digitale presso il Cop di Roma. A lui si deve la provocazione della “catechista virtuale” che, se da un lato può suscitare fenomeni di rifiuto da presunto inquinamento della prassi pastorale, dall’altro sollecita riflessioni sulle modalità di essere cristiani in dialogo con la società dell’iperconnessione e dell’intelligenza artificiale. Il punto di partenza - messo in luce da Ammendolia anche in un recente volume, Chiesa e pastorale digitale. In uscita verso una società 5.0 (Il Pozzo di Giacobbe, pagg.195, euro 20) scritto con Riccardo Petricca- è scontato, anzi inevitabile. Il dialogo tra teologia e scienze tecnologiche avanzate è ormai avviato e indietro non si torna. Comprendere le opportunità, ma anche i rischi, offerti dalla rete in tutte le sue forme, nell’ambito della pastorale, della catechesi, della direzione spirituale, della formazione non è più una scelta di frontiera ma una prassi di ordinaria saggezza e di intelligente opportunità, come più volte messo in luce in questi anni dal magistero della Chiesa e di papa Francesco. Proprio alla luce dei tanti interventi del pontefice, Ammedolia ha proposto una definizione di pastorale digitale come «indicativa di quell’insieme di processi atti a far interagire in modo adeguato la pastorale e le tecnologie digitali, perché si realizzi un uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare della Chiesa nella prospettiva onlife».

Un impegno che, come è stato fatto notare ieri, in numerose comunità è già pane quotidiano.

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