Un percorso sinodale, un itinerario ecclesiale: dall’
extra omnes al
compelle intrare. Forse si potrebbe riassumere così il lavoro dei tredici
Circuli minores, che ieri hanno concluso il confronto aperto sulla prima parte dell’
Instrumentum laboris, il documento base dell’assemblea ordinaria sulla famiglia. Il lavoro di «aggiornamento» frutto del dibattito e del collazionare le diverse realtà culturali ed ecclesiali sullo stesso tema, è stato certamente un apporto di ricchezza, condiviso dai padri. E così il Sinodo ora si presenta, nonostante tutte le inevitabili forzature mediatiche, essenzialmente come
evento ecclesiale, che vuole porsi sotto il primato del Vangelo e guidato dallo Spirito Santo. Mantenendo quindi intatta la sua caratteristica peculiare legata non tanto al tema in discussione, ma al metodo adottato su insistenza di papa Francesco: libertà di interventi, discussione franca, confronto fraterno, ascolto reciproco. I padri sinodali hanno fatto confluire al Sinodo il loro pensiero di vescovi e pastori ma, proprio per questo, hanno cercato di farsi anche eco delle diversità e del fermento suscitati nelle Chiese locali. «Il dibattito, il dialogo è importante all’interno dei Circoli, ritengo che questo sia un processo sano, è il metodo della Chiesa che ci porta alla comunione», ha detto nel corso del briefing di ieri il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti
Kurtz. Al quale ha fatto eco l’arcivescovo di Madrid
Carlos Osoro Sierra: «Nessuno ci sta dicendo quello che dobbiamo dire». Questo ha fatto emergere l’esigenza di un parlare della famiglia non in termini astratti o idealizzati, l’imparare a leggere i segni dei tempi, ad usare un linguaggio positivo, comprensibile e che favorisca l’incontro e la prossimità con i contemporanei. E quindi non a un ripiegamento sul «così si è sempre fatto», dove il «sempre» indica a volte solo qualche generazione di credenti e non raggiunge mai la variopinta diversità delle comunità ecclesiali sorte dal crogiolo del Mediterraneo e diffusesi fino ai confini della terra, né tanto meno il parlare e l’agire di Gesù di Nazaret. E proprio la necessità di un linguaggio semplice, comprensibile e attraente sul modello di Cristo è stato evocato come una necessità dai padri sinodali. Il nodo è infatti questo: narrare alla famiglia umana l’immutabile buona notizia del messaggio cristiano con parole, gesti, atteggiamenti, cioè con un linguaggio di vita in grado di parlare al cuore e alla mente degli uomini e delle donne di oggi, di riscaldare quei cuori.
E guardare alle singole persone e alle realtà delle famiglie con lo sguardo che aveva Gesù, che si interessava prima della loro vita e poi, chiamando per nome il peccato, annunciava al peccatore il perdono e la misericordia di Dio, di quel «Padre suo» che non vuole la condanna del peccatore ma che questi si converta e viva in pienezza. Perché è solo in questo
sguardo conforme allo sguardo del Figlio di Dio che sta la capacità della
Chiesa di essere oggi «esperta in umanità» e di essere profezia nel mondo.