martedì 13 aprile 2021
Il religioso nigeriano, 31enne, aveva scritto al Papa, che ha dato il via libera ad anticipare i tempi. L'ordinazione il 1° aprile. La sua storia ricorda quella del polacco Los e del pugliese Mellone
Il vescovo Libanori e, seduto di fronte, padre Livinius

Il vescovo Libanori e, seduto di fronte, padre Livinius - .

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Un “eccomi” gridato a tutto cuore, anche se la voce esce a fatica. L’impegno a camminare verso gli altri, pur restando forzatamente fermi. La gioia di sentirsi parte di una comunità, a dispetto della vita solitaria d’ospedale. Ci sono storie in cui sembra concentrarsi tutto il bello e ogni goccia di fatica che sta dietro all’essere preti. Una risposta alla chiamata dell’amore di Dio che quasi naturalmente diventa servizio alla Chiesa e ai fratelli.

È il caso di Livinius Esomchi Nnamami ordinato sacerdote a Roma lo scorso 1° aprile, Giovedì Santo. Trentuno anno, nigeriano, il racconto della sua vocazione inizia a Owerri dove entra ventenne nell’Ordine della Madre di Dio.

La prima professione religiosa, poi la diagnosi terribile: leucemia. Per il giovane è l’avvio di un cammino doloroso, in cui la speranza si alterna all’impietosa scoperta che le terapie non sortiscono effetti. Infine, due anni fa, il viaggio in Italia, alla ricerca, finora rimasta tale, di cure più efficaci.


La sofferenza però non ferma il sogno, non allenta la pertinace volontà di rispondere alla chiamata divina. Tra trasfusioni e farmaci “mirati”, Livinius prosegue gli studi all’Angelicum tanto da riuscire a emettere, e siamo al settembre scorso, i voti solenni. Ancora una volta, però, purtroppo, la gioia non fiacca, non toglie forze al morbo, che continua, e anzi accelera, il suo tragico corso. Si allungano i tempi di degenza in ospedale, si affievolisce la certezza di poter completare la formazione al sacerdozio. Di qui la decisione di scrivere al Papa per chiedergli di poter anticipare il giorno dell’ordinazione. Il sì non si fa attendere, Il 31 marzo, poche ore dopo aver inviato la lettera Livinius riceve, firmato di proprio pugno da Francesco, il via libera. Nel pomeriggio del giorno dopo, come riporta “Roma Sette” l’inserto diocesano domenicale di Avvenire, a consacrarlo presbitero presso il presidio sanitario Medica Group Casilino della Capitale sarà, su incarico del Pontefice, monsignor Daniele Libanori. «Attraverso questo dono – sottolinea nell’omelia il vescovo ausiliare di Roma – il Padre vuole sostenerti perché tu possa vivere in pienezza la prova alla quale ti ha chiamato. Da sacerdote sarai unito a Gesù per fare del tuo corpo un’offerta gradita a Dio. Il nostro sacerdozio infatti raggiunge il suo vertice quando assieme al pane e al vino, sappiamo offrire tutto noi stessi, le cose che il Signore ci ha dato, e la nostra stessa vita».

Ed è sembrato di risentire le parole pronunciate da don Michal Los il giorno della sua prima Messa: «Nulla potrà mai separarmi dall’amore di Cristo». Una certezza cresciuta a dispetto della morte imminente che di lì a breve avrebbe catturato il giovane prete polacco orionino ordinato il 2 maggio 2019 sul letto di malattia di Varsavia dove il cancro lo stava consumando. «Sappiamo che non è stata la morte a togliergli la vita – disse allora padre Tarcisio Vieira, direttore generale dell’Opera Don Orione – ma è stato lui che ha voluto donarla per amor a Cristo».

E torna il richiamo all’offerta totale di sé, quella che commosse l’Italia al racconto della storia di Salvatore Mellone, anch’egli vittima di un tumore e consacrato sacerdote nell’arcidiocesi Trani-Barletta-Bisceglie, con due anni di anticipo, nel 2015. Toccante la telefonata che gli fece Francesco: «La prima benedizione che darai da sacerdote la impartirai a me» gli disse il Pontefice. «Scenda sul Papa la benedizione di Dio onnipotente», fu la promessa mantenuta del prete novello fresco di ordinazione. Perché gli impegni presi di fronte a Dio diventano doveri, a maggior ragione quelli assunti in ore “speciali” come possono essere solo le ultime della nostra esistenza.

«Se così vuole il Signore, morirò da sacerdote: porterò sull’altare le mie sofferenze e le unirò a quelle di Gesù sulla Croce», sottolinea in proposito il testamento spirituale di don Cesare Bisognin ordinato prete nella sua casa torinese il 4 aprile 1976, a 19 anni appena, dall’arcivescovo Michele Pellegrino. Sarebbe morto di lì a 24 giorni, dopo aver confidato al suo direttore spirituale l’onore della vocazione ricevuta, accettata e condivisa: «È un gran dono il sacerdozio. Ho solo paura di non essere capace di viverlo bene. Dillo ai giovani: vale la pena buttarsi per questa strada!». Una chiamata misteriosa che può avvenire ovunque, e ovunque diventare vita per gli altri, persino in una corsia d’ospedale.

Come il presidio sanitario Casilino dove padre Livinius ha iniziato il suo ministero sacerdotale e impartito la sua prima benedizione. Ai medici e agli infermieri che lo accudiscono quotidianamente. Ed è stato come dire grazie. A Dio, alla Chiesa, ai fratelli. Alla vita. Per ciascuno dei giorni, tanti speriamo, o pochi che gli resteranno. Dono d’amore infinito, com’è appunto il sacerdozio, del Padre buono per la Chiesa, i fratelli e le sorelle.


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