venerdì 30 agosto 2024
Il vescovo ausiliare emerito della diocesi ambrosiana ricorda il cardinale che guidò la diocesi dal 1929 al 1954. «Mi ordinò prete nel 1952. Fu una guida sicura in anni molto difficili per l'Italia»
Schuster tra la gente il giorno della liberazione nel 1945

Schuster tra la gente il giorno della liberazione nel 1945 - .

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«Un padre e un maestro». Così monsignor Angelo Mascheroni, nato a Sesto San Giovanni alle porte di Milano, classe 1929, vescovo dal 1990, prete ambrosiano dal 1952, avendo ricevuto l’ordinazione dalle mani del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, definisce appunto questo grande arcivescovo di Milano scomparso esattamente 70 anni fa.

Era, infatti, l’alba del 30 agosto 1954, quando nel Seminario di Venegono Inferiore (provincia di Varese e arcidiocesi di Milano), da lui amatissimo e fortemente voluto, spirava all’età di 74 anni il monaco benedettino Schuster - romano di nascita e figlio di una guardia pontificia - che aveva retto l’arcidiocesi ambrosiana negli anni forse più terribili e difficili del secolo scorso.

Dal 1929 al 1954 tra fascismo, Seconda guerra mondiale, il periodo “nero” in tutti i sensi della Repubblica sociale e la rinascita post-bellica, mancava, infatti, solo una settimana al 25° del suo episcopato ambrosiano che sarebbe stato festeggiato l’8 settembre del ’54.

E i ricordi, allora, nelle parole scandite con la precisione di una memoria formidabile da monsignor Mascheroni, oggi vescovo ausiliare emerito, decano dei vescovi di Lombardia - dopo aver ricoperto molteplici incarichi di rilievo, come quelli di vicario episcopale della Zona di Monza e, poi, della città di Milano -, sembrano un fiume in piena. A partire da quel 6 febbraio 1936 «quando - scandisce - lo vidi per la prima volta e lo ricordo benissimo».

In che occasione?

Era il giorno della mia Cresima ed eravamo moltissimi nella Basilica di Santo Stefano a Sesto San Giovanni. C’era tutti i parrocchiani della Vicaria che comprendeva, allora, anche altre cittadine e paesi.

Che impressione ne ebbe?

Molti consideravano Schuster come una persona che non avesse i “piedi per terra”, invece, era un uomo anche dallo spiccato senso pratico che riusciva a gestire, ad esempio, celebrazioni con un così alto numero di ragazzini. Ad esempio, mi ricordo che prima parlò a noi maschi, poi ci congedò, sapendo che eravamo più irrequieti, e rimase a predicare alle ragazze.

Lei è stato ordinato sacerdote in Duomo il 7 giugno 1952 proprio da Schuster. Come si rapportava con voi seminaristi?

Veniva spesso a visitare i seminari della nostra arcidiocesi. Era sempre una gioia. A Venegono lo vedevamo da lontano, perché incontrava tutti nella grande Basilica interna al complesso del Seminario, ma ciò che colpiva era il suo essere un padre, evidente nell’atteggiamento. Una sensazione condivisa da generazioni di preti, sicura sicuramente da noi 52 ordinati nel 1952 di cui oggi siamo rimasti in 4.

Quando Schuster morì l’emozione, dicono le cronache, fu enorme…

Ricordo quella mattina. Avevo appena concluso la Messa nella cappella di San Domenico del Santuario di San Pietro Martire a Seveso, quando venne un fratello oblato e disse solo «è morto il cardinale». Andai subito a Venegono per rendere omaggio e fu necessario, poi, un giorno intero per arrivare dal Seminario a Milano in Duomo. Vi fu un concorso di popolo immenso: ho ancora in mente degli operai che vollero portare il feretro nel loro stabilimento.

Eravate a conoscenza del ruolo svolto da Schuster anche dal punto di vista civile e sociale, tanto da venire definito “defensor civitatis” “difensore della città” negli ultimi tempi della guerra?

Sì. Personalmente ne ho avuto consapevolezza concreta quando, il 6 maggio del 1945 salì sul Duomo e liberò la Madonnina dal telo grigio che la copriva per difenderla dai bombardamenti e non farne un punto di riferimento per gli aerei. Allora il cardinale parlò ringraziando la Madonna di aver protetto Milano, certo non fece mai riferimento a se stesso. Quando nell’agosto del 1943 fu bombardata Milano, venne colpito anche il suo appartamento in arcivescovado e dicono che fosse tra coloro che con una scopa e l’acqua tentavano di rimuovere le macerie. E, poi, c’era la sua generosità. Arrivava qualcuno che gli donava dei soldi, metteva in tasca la busta e, magari, subito dopo, qualcun altro entrava e diceva che era stata distrutta la sua parrocchia. Ritirava fuori la busta e la porgeva a chi aveva bisogno, senza nemmeno controllarne il contenuto. Era il suo stile.

Come era vivere in Seminario in tempo di guerra?

In casa mia ho conosciuto la povertà. Avevo sempre i calzoni corti e rattoppati, un maglione, mai la giacca o una camicia, ma in tempo di guerra, in seminario, c’era anche la fame. Nel 1943, Schuster e i superiori si posero il problema se fosse meglio non riaprire i seminari. Come facevano a dare da mangiare a 1.400 ragazzi? Però hanno fatto un voto e hanno coraggiosamente aperto ed è stato un gran bene per tutti.

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