Nel vivere dentro la storia la Chiesa persegue finalità etiche e spirituali con mezzi materiali e terreni, ed è quindi esposta ad errori e critiche. Sin dagli inizi il cristianesimo si propone di diffondere il Vangelo, e andare incontro ai bisogni degli indigenti e degli emarginati; nel tempo le grandi opere di carità inaugurano l’assistenza ai malati e agli anziani, alle vittime delle guerre, agli orfani e alle vedove, come categorie che non trovano accoglienza adeguata in altre strutture. In epoche nelle quali lo Stato, laddove esiste, è solo apparato militare o di sicurezza la Chiesa rappresenta l’alternativa benefica, che non può raggiungere tutti ma radica nella società i valori di solidarietà e sostegno per i più deboli. Si spiega anche in questo modo lo sviluppo dei grandi ordini religiosi, e delle attività del clero, con una pluralità di mezzi economici e finanziari che pongono problemi di gestione, di correttezza, di rapporti con lo Stato che intanto si evolve per natura e funzioni. L’epoca delle grandi spoliazioni, inaugurata dallo Stato moderno liberale va valutata con obiettività di giudizio, perché l’incameramento dei beni dei grandi ordini religiosi si rivela sostanzialmente inevitabile, dal momento che lo Stato assume parte di quelle funzioni sociali che prima erano della Chiesa, la sanità, l’istruzione, l’assistenza, con ambiziosi progetti di crescita culturale e materiale della comunità civile. Diverso il giudizio per la guerra ideologica del laicismo illuminista contro gli ordini religiosi, spazzati via e dispersi con la forza (in Italia con maggiore moderazione): una guerra che si deposita nella memoria del cattolicesimo come ferita dolorosa, e nella memoria del laicismo come epoca gloriosa da far rivivere magari soltanto con le polemiche verbali. La situazione odierna, dopo le spoliazioni dell’Ottocento e le tragedie del totalitarismo nel Novecento, è profondamente mutata. In nessun Paese le Chiese cristiane, e la Chiesa cattolica, hanno un patrimonio neanche lontanamente paragonabile all’antica manomorta ecclesiastica, al punto che quasi ovunque in Europa lo Stato interviene a favore delle confessioni religiose con esenzioni fiscali (in ragione della funzione sociale svolta) o sovvenzioni dirette. Lo Stato laico si è come trasfigurato in uno Stato laico sociale, che guarda con attenzione e rispetto alle Chiese, consapevole che la loro funzione di supplenza è per certi aspetti più preziosa che in passato. Si può citare un fenomeno che ci riguarda da vicino e sul quale si riflette raramente. Se in Italia il fenomeno dell’immigrazione non ha provocato traumi o lacerazioni drammatiche, ciò è dovuto in parte allo spirito d’accoglienza proprio della nostra tradizione e al capillare sostegno che le organizzazioni cattoliche, insieme ad altre di ispirazione laica o religiosa, svolgono per favorire la prima integrazione degli immigrati e soddisfare le esigenze elementari dei soggetti più deboli dell’immigrazione. Viste in questo quadro storico, le polemiche sui cosiddetti «privilegi fiscali» della Chiesa non hanno fondamento reale, appartengono invece a quella «memoria del conflitto» che non si è mai esaurita nelle pieghe della cultura laicista. Una memoria che vorrebbe riprodurre artificialmente un conflitto che non esiste più, orfana di un anticlericalismo scomparso dalla coscienza della gente, e che può solo elaborare slogan utili a colpire l’immaginazione. Si tratta di una sacca di resistenza coltivata da chi non riesce ad accettare che l’Italia resti cattolica nelle profondità della cultura popolare prima che nei numeri della partecipazione, e ad essa si può rispondere di volta in volta con pacatezza e precisione, pronti a cambiare ciò che è necessario quando si presentino singoli casi (che possono esistere) di elusione fiscale o di uso non corretto della proprietà. La gente sa, vede, sperimenta tutti i giorni che non esistono ammassi di ricchezze ecclesiastiche, che la Chiesa agisce per i più poveri e per coloro che si avvalgono del suo servizio. Questa la vera garanzia per i fedeli e i cittadini nel reggere il peso di una polemica che ferisce, fa male, ma non può prevalere sulla realtà dei fatti.