Gentile direttore,
avevo inviato una mail il 3 gennaio scorso con due quesiti, ma non ho ricevuto risposta. Forse non siete in grado di darmela, va bene ugualmente... Ma provo a riproporla. Mi sono rivolto ad 'Avvenire' per due quesiti sorti in una discussione tra amici. Una signora ha asserito che pagando il canone Rai una quota va anche a Mediaset e che, nella dichiarazione dell’8 per mille, anche se non firmi per la Chiesa cattolica come destinatario una quota va comunque alla Chiesa. Mi sono molto meravigliato di queste affermazioni, ma non avevo dati per ribattere, così chiedo lumi a voi per sapere se è vero quanto affermato da questa signora. Aggiungo che non meraviglierebbe sapere che tra le accise sulla benzina ci sono ancora quelle per la battaglia di Adua o per il Dodecaneso. Grazie.
Luigi Donnini vecchio abbonato (e abbonato nel contempo vecchio)
Le dico subito, gentile e caro signor Donnini, che la sua amica non ha ragione. L’abbiamo scritto e riscritto. Ma le questioni che lei mi sottopone sono di quelle che evidentemente non passano mai di moda: pur affrontate, tornano continuamente a proporsi. Quasi che non si voglia credere che le cose possono cambiare, migliorando (nel caso del canone) o che risulti estremamente difficile accettare l’idea che esistano strumenti sensati eppure presentati in modo tendenzioso e malizioso (l’8 per mille) o, infine, che non ci si capaciti nonostante il peso del debito pubblico del fatto che balzelli più 'vecchi' di lei e di me (certe accise) resistano al tempo e, persino, al ridicolo e all’increscioso. Ma andiamo per ordine. Canone radiotv. Solo per abitudine chiamiamo ancora Canone Rai un’imposta che non viene incassata dalla radiotv pubblica, ma è invece dovuta allo Stato per il possesso di apparecchi di qualunque tipo atti a ricevere segnali radiotelevisivi. Un canone che in passato era stato effettivamente attribuito quasi per intero alla concessionaria del servizio pubblico: fino a cinque anni fa, si prevedeva soltanto la destinazione di una minima quota del gettito – l’1% – all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, grande istituzione musicale italiana. Nuove regole di riscossione anti-evasione – il famoso 'Canone in bolletta' – hanno portato a stabilire, dopo un paio di passaggi, anche nuovi criteri di destinazione dei maggiori introiti ottenuti. E Mediaset non ne riceve. Oggi, una larga parte del Canone è ancora e sempre riservata alla Rai, appunto per il suo essere azienda concessionaria del servizio pubblico, mentre metà del cosiddetto extra gettito viene riversata all’Erario per essere destinata al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, al Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione (finalizzato al sostegno dell’editoria e dell’emittenza radiofonica e televisiva locale) e, da ultimo ma non per ultimo, all’esenzione dal pagamento del canone a favore di persone di almeno 75 anni che abbiano un reddito non superiore agli 8.000 euro all’anno. Otto per mille. Abbiamo spiegato più volte, che funziona così: la Repubblica italiana destina ogni anno l’8 per mille dell’intero gettito fiscale a quelle Confessioni religiose che abbiano stretto patti e intese con lo Stato, accettando i princìpi fondamentali del nostro ordinamento, oltre che allo Stato stesso «per scopi di interesse sociale». Questa cifra viene ripartita interamente tra Stato, Chiesa cattolica e, attualmente, altre dieci realtà in proporzione alle preferenze espresse dai cittadini-contribuenti. Due confessioni hanno scelto di non avvalersi di questa quota. Anche coloro che sono esentati dalla presentazione della dichiarazione dei redditi possono firmare e consegnare l’apposito modulo. Insomma, ogni anno siamo chiamati a partecipare a un sorta di referendum e democraticamente possiamo decidere come ripartire quei fondi. Naturalmente, come per l’elezione del Parlamento o per qualsiasi altra consultazione popolare, decide chi partecipa. Ecco tutto. E non è una stranezza, è la democrazia. Una propaganda martellante sostiene il contrario e fa confusione per accreditare l’idea di un 'privilegio' che non c’è. La sua amica si è fatta convincere, ma i fatti sono questi. Vengo infine alle accise sulla benzina, che sono ben diciannove. Tra di esse posso assicurarle che non c’è quella per il Dodecaneso (l’arcipelago greco che il Regno d’Italia conquistò nel 1912 strappandolo all’Impero ottomano), mentre c’è davvero quella per la guerra d’aggressione italiana all’Etiopia del 1935-36 (conflitto evocato da nome di Adua, località già teatro di una gravissima sconfitta delle truppe coloniali italiane nel 1896 e bombardata e conquistata nel 1935). Sottolineo che accise e Iva pesano, all’incirca, per il 65% sul prezzo finale della benzina e per il 59% del costo del gasolio. Che aggiungere? Per prima cosa che bisognerebbe avere il buon gusto e il coraggio umano e civile di cancellare certe accise o almeno il loro nome. Non paghiamo, infatti, 'per' l’Etiopia, ma sostanzialmente e paradossalmente 'contro' l’Etiopia. E lo facciamo da 85 anni, come se quella guerra continuasse e ancora evitando di fare fino in fondo i conti con quello che ha significato e, purtroppo, ha visto orribilmente commettere da comandanti italiani. Infine, una semplice constatazione: coloro che prima di andare al governo avevano promesso di cancellare almeno le accise più vecchie, una volta alle prese coi conti pubblici si sono ben guardati dal farlo. Tutti, senza eccezioni.