Dom Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte, sulla collina che domina Firenze - Gambassi
Una fiaccolata per la pace che vorrebbe vedere camminare fianco a fianco ebrei e palestinesi insieme al mondo cattolico, alla società civile, alla politica, ai sindacati, all’associazionismo. L’ha lanciata a Firenze dom Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte, monumentale chiesa che dall’alto domina il capoluogo toscano. Una «coraggiosa convocazione» in «queste ore oscure di angoscia, di smarrimento e di motivate preoccupazioni», scrive nella lettera aperta con cui chiama a partecipare l’intera città e soprattutto «le amiche e gli amici della comunità israelitica e di quella islamica».
In molti hanno risposto all’appello del monaco benedettino olivetano che nel 2019 aveva predicato gli esercizi spirituali alla Curia Romana davanti a papa Francesco. Alcuni ebrei hanno già annunciato la partecipazione a titolo personale, ma la comunità scioglierà la riserva nelle prossime ore. «Sembra un bellissimo invito - sottolinea il presidente Enrico Fink - e apprezzo i toni. Come comunità troveremo il modo di vederci e fare una valutazione ufficiale. A livello personale la trovo molto condivisibile». L’imam di Firenze, Izzedin Elzir, ha detto in tv che ci sarà. Anche il sindaco Dario Nardella. La marcia, in silenzio e senza bandiere, si terrà lunedì a partire dalle 18.30 dal Ponte alle Grazie, simbolo dell’unione fra le due sponde dell’Arno e quindi richiamo all’incontro fra i popoli. L’arrivo nella basilica di San Miniato sopra piazzale Michelangelo, la terrazza su Firenze amata dai turisti.
La basilica di San Miniato al Monte sulla collina che domina Firenze - sanminiatoalmonte.it
Non sarà un appuntamento di preghiera ma una proposta aperta a tutti. L'evento anticipa la giornata di preghiera interreligiosa voluta da papa Francesco per venerdì 27 ottobre. A ispirare l’iniziativa fiorentina la profezia del sindaco “santo” Giorgio La Pira che considerava Firenze una seconda Gerusalemme. «Il fuoco amico delle fiaccole - annota l’abate - sarà argine al buio». Nella sua lettera aperta dom Gianni spiega che non è possibile accettare «una disperata e cinica rassegnazione al male e soprattutto rinunciare alla possibilità non utopica, ma concretamente necessaria, ragionevole e ineludibile che ogni nostro pensiero e ogni nostra azione sappiano sempre e dovunque propiziare il bene della giustizia e quindi la pacifica convivenza fra le legittime aspirazioni e i diritti di popoli e culture diverse». E avverte: «Nella salita che conduce a questo monte, non avremo parole da pronunciare, slogan da gridare, vessilli da esibire: i nostri volti, i nostri sguardi, il nostro silenzio, la nostra coscienza memore tanto del dolore degli ostaggi e dei loro congiunti, quanto del fiume di sangue, in grande parte innocente, versato in questi giorni di ferocia, saranno il nostro “messaggio sempre rinnovato di pace e di speranza”», secondo le parole di La Pira.