«Bergoglio è sempre stato molto puntuale. Quando stavamo preparando la sua biografia, io e la collega Francesca Ambrogetti avevamo un appuntamento mensile con lui: un’ora e mezza di dialogo, domande, risposte e racconti. Ma ricordo che un giorno, a Buenos Aires, ci fece aspettare. Strano, pensai, è sempre così attento nei confronti degli altri. Poi vedemmo che dal suo ufficio uscivano delle persone. Una famiglia: marito, moglie e figli. Gente molto umile: venivano dal Chaco, una provincia povera, nel nord dell’Argentina. Lui, già cardinale, li aveva ricevuti con affetto in arcivescovado. Aveva riscaldato personalmente l’acqua per offrire loro il mate, aveva messo in tavola le
facturas, i croissant argentini. Aveva parlato con loro. Poi, salutandoli, aveva raccomandato di fare attenzione durante il viaggio, e li aveva baciati. A noi chiese scusa per il ritardo. Bergoglio è sempre stato così. Un uomo di gesti, e di idee». Giornalista specializzato in informazione religiosa per il quotidiano
Clarín, opinionista per la tv «Tn», Sergio Rubín ha seguito per anni il vescovo, poi l’arcivescovo, il cardinale e ora il Papa: insieme ad Ambrogetti ha scritto tre anni fa
El jesuita («Il gesuita»), la biografia autorizzata che fra pochi giorni arriverà anche nelle librerie italiane. «Negli incontri che abbiamo avuto con lui per il libro abbiamo parlato di un po’ di tutto – racconta ad
Avvenire, a pochi passi da San Pietro –. Quando terminammo questi dialoghi, dopo un anno e mezzo, ho avuto la sensazione di aver parlato con qualcuno che stava pensando alla Chiesa presente e futura, intendo da qui ai prossimi 50 anni». «Lo vidi quand’era ancora un sacerdote: notai subito la sua discrezione. Poi fu nominato vescovo e la gente che lo conosceva continuava a ripetermi: è umile, intelligente, sempre delicato con gli altri». Rubín sottolinea costantemente la semplicità dei gesti: «Quando si riuniva con gli altri vescovi, il cardinale Quarracino diceva: anche se non lo vedo, so sempre dove si siede Bergoglio. Nell’ultima fila». Dal momento in cui assume la guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires, Rubín parla spesso con lui. Fra di loro, come accade anche con Francesca Ambrogetti, si stabilisce «una profonda relazione personale». Anche perché il "padre Bergoglio" non rinuncia mai alla sua vicinanza alla gente, ai fedeli, alle persone che incrocia. Gli aneddoti si moltiplicano. Come quella volta in cui «venne invitato a tenere un incontro nella parrocchia della Villa 21», uno dei quartieri più poveri della periferia di Buenos Aires. «Lui andò in autobus: il "collettivo", come lo chiamiamo noi. A un certo punto salgono degli operai: avevano finito di lavorare in città e stavano tornando alla Villa. Lo vedono: "Guarda – si dicono l’un l’altro –, c’è il vescovo". In parrocchia, al termine del discorso di Bergoglio, uno degli uomini si alza e prende la parola: "Padre, lei è venuto con noi oggi, in bus. L’abbiamo riconosciuta. Vogliamo solo dirle che da ora in poi lei è parte della nostra comunità"». Ci sono stati naturalmente anche momenti molto duri nella vita di colui che poi sarebbe diventato papa Francesco. Tanto è stato scritto – e smentito – in questi giorni, a proposito della sua posizione rispetto al regime argentino: «La verità è che aiutò moltissima gente, durante la dittatura», ribadisce una volta per tutte Rubín. E chi pensa che le difficoltà di comunicazione con il governo Kirchner siano sorte solo con il via libera della presidente al matrimonio omosessuale (2010), duramente condannato dall’arcivescovo, non ricorda la «
crispacion, l’atteggiamento di continuo scontro che manteneva il presidente Nestor Kirchner molti anni prima». Bergoglio, però, «ha sempre cercato il dialogo».Più in generale, afferma il biografo, in qualsiasi aspetto sociale «è sempre stato un uomo disposto all’accoglienza. Nel suo scudo di arcivescovo porta la misericordia: è un argomento di cui parla spesso. E ha sempre aperto le porte dell’Arcivescovado a chi ne aveva bisogno, a chi soffriva, a chi aveva problemi». Sempre accanto agli ultimi, a cominciare dal Giovedì Santo: «Tutti gli anni ha sempre lavato i piedi ai ragazzi nelle carceri, ai malati di Aids, agli ex tossicodipendenti. La droga è una piaga che preoccupa moltissimo la Chiesa argentina». Il
paco – una specie di crack sudamericano, diffuso soprattutto fra i più poveri – «sta uccidendo tanti giovani: li ammazza in sei mesi». Alla luce delle conversazioni che hanno mantenuto per anni, Rubín dice che la tossicodipendenza, la crisi sociale, la povertà, la disoccupazione sono sempre stati temi di grande preoccupazione per Bergoglio in Argentina. «Nel suo pontificato sono sicuro che darà molta importanza all’ambito sociale». Parola di biografo.