Il messaggio della Dottrina sociale cristiana alla società e all’economia di oggi è molto chiaro, ed è un messaggio di liberazione. Chiede di liberarci dall’oppressione di idoli che prendono la forma di tre "riduzionismi" che propongono immagini limitate e avvilenti dell’uomo, dell’impresa e di ciò che è valore e ricchezza per le nazioni. Il tesoro recentissimo della
Caritas in veritate, l’enciclica di Benedetto XVI, che riflette sulle esperienze "sul campo" di credenti e di uomini di buona volontà nell’era della globalizzazione, aiuta ad affrontare il tema con grande ricchezza. Quando l’uomo si riduce alla dimensione economicista, l’impresa non si pone l’obiettivo di creare valore in modo socialmente e ambientalmente sostenibile e "valore" è soltanto ciò che ha un "prezzo di mercato" il rischio – denunciato da papa Francesco già nelle sue omelie da cardinale arcivescovo di Buenos Aires – è quello di rassegnarsi a una finanza senza lavoro e a un’economia senza democrazia. La Dottrina sociale della Chiesa propone invece un’alternativa chiara e possibile. Ci ricorda, e dimostra, che gratuità, dono, fiducia e cooperazione rendono la vita personale e sociale più ricca e più fertile non solo umanamente e spiritualmente ma anche economicamente e che una ricca biodiversità organizzativa di aziende con scopi e finalità diverse costruisce un ecosistema più fertile e più stabile. Queste visioni e questi segnali di cammino ci spingono a cercare nuovi indicatori di benessere, che possano aiutarci a misurare correttamente la ricchezza delle nazioni e a distinguere tra ciò che ha valore ma non ha prezzo di mercato e ciò che ha prezzo di mercato ma non ha valore. Il pensiero che papa Bergoglio ha avuto occasione di esprimere in passato su tali temi si inserisce pienamente in questo filone, ricco dell’ispirazione della spiritualità ignaziana che incontra la grande testimonianza di Francesco di Assisi e che ha tra le sue parole chiave la "contemplazione nell’azione" e la "opzione preferenziale per gli ultimi". La prima caratteristica fondamentale che traspare dalle parole e dallo stile di vita del nuovo Pontefice è quella della verità che si coglie "abbassandosi", attraverso l’esperienza dell’incontro con i poveri e della condivisione della loro prospettiva. Una metropoli come Buenos Aires vissuta sui mezzi pubblici, l’esempio e l’invito ai fratelli vescovi e preti ad andare nelle periferie degradate, i gesti forti di solidarietà verso i malati di Aids configurano uno stile di vita secondo il quale bisogna innanzitutto amare e condividere, perché questo, poi, aiuta a capire davvero ed eventualmente a risolvere. Meglio di tanti studiosi sociali che sono come dottori che non hanno mai condiviso il dolore dei pazienti o di certi geografi che non hanno mai visitato i Paesi di cui parlano. Non a caso papa Francesco, in una delle sue omelie da vescovo in cui ha affrontato maggiormente i temi sociali, si sofferma a lungo sul concetto di «prossimità» e di «farsi prossimo». Si tratta di un’esperienza che, oltre a scaldare il cuore, rende più potente lo sguardo e consente di cogliere meglio difficoltà e problemi. Di lì nascono denunce molto precise dei riduzionismi di cui s’è detto all’inizio. Come quelle contenuta in una ancor recente intervista rilasciata a
30 Giorni dove si parla senza giri di parole di una finanza che ormai fa a meno del lavoro e di «terrorismo economico-finanziario» che approfondisce diseguaglianze, aumenta le schiere dei poveri e distrugge la classe media. O ancora di «mentalità funzionalista connessa al modello economico imperante» che ha progressivamente fatto tabula rasa delle risorse destinate ai momenti più delicati e fondamentali della vita come quelli dell’infanzia, dell’educazione e della vecchiaia. Leggendo le sue interviste e le sue omelie a sfondo sociale si percepisce immediatamente che la visione di economia e società di papa Francesco si forma su uno dei teatri più difficili dell’economia globale. Quello dell’economia di un Paese come l’Argentina che sembra essere un esemplare modello negativo di come un’incredibile ricchezza di talenti e risorse naturali può essere dilapidata nel tempo grazie agli errori congiunti di una classe politica nazionale, dilaniata da corruzione ed errori di prospettiva, e dei vertici delle organizzazioni internazionali, le cui errate ricette di politica economica sono state pagate a caro prezzo dagli argentini. Tutto questo porta l’arcivescovo Bergoglio ad amare constatazioni relative al problema dello spreco di risorse pubbliche e alle conseguenze drammatiche della lievitazione del debito estero. Il riflesso condizionato di categorie mentali un po’ datate proverà subito a imprigionare il suo pensiero nelle categorie della destra e della sinistra. Ma quando si parla di pensiero sociale cattolico e Dottrina sociale bisogna imparare ad abbandonare queste categorie per usare invece quelle della sfida portata dai tre riduzionismi già diverse volte citati in questo articolo. Bisogna ricordare che la pienezza della vita umana è fatta di doveri e di diritti, di stimolo alla capacità di iniziativa e alla presa di responsabilità, ma anche di solidarietà e di conforto nei momenti di fragilità e di debolezza («non c’è sviluppo senza solidarietà, né solidarietà senza sviluppo», ha confermato il nuovo Papa). La riflessione e le pratiche della comunità dei credenti è ricchissima e contiene potenzialmente tutte le soluzioni ai riduzionismi e ai mali che ci affliggono. La grande speranza che il mondo, cattolico e no, ha colto in papa Francesco è che la semplicità, il rigore intellettuale e l’umiltà della sua persona possano riassumere e veicolare i contenuti di questa ricchezza per renderla feconda e pienamente attuata.