Le prove di dialogo fra Lega e M5s registrano assonanze (per quanto scontate) sul fronte degli aumenti Iva da scongiurare. E per ambedue i partiti la priorità in campo economico diventa questa, prima ancora dei loro cavalli di battaglia, rispettivamente la «irrinunciabile» flat tax e il reddito di cittadinanza. Luigi Di Maio afferma con nettezza in mattinata davanti ai vertici di Confcommercio, in un incontro scandito da 5 applausi (e che fa seguito alle aperture verso i 5 Stelle di Marchionne e Confindustria) che le 'clausole di salvaguardia' previste per il 2019, con aumenti per 12,4 miliardi, vanno «disinnescate subito» e messe nero su bianco nel prossimo Def (il Documento triennale di economia e finanza) che deve avere un carattere «programmatico». Gli fa eco Matteo Salvini: «La clausola per noi non esiste».
I due partiti usciti vincitori dalle elezioni del 4 marzo continuano ad affinare la loro strategia economica, all’indomani delle frasi usate a Bruxelles dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sulla preoccupazione dei colleghi europei, che hanno acceso la polemica martedì. Frizioni alle quali hanno dato un nuovo volto le parole venute ieri dal principale protagonista, Pierre Moscovici: il commissario europeo agli Affari economici, nel difendere il deficit al 3% che è «una regola comune di buon senso», ha definito «ovvia» alla luce degli esiti delle elezioni la considerazione fatta da Padoan, ribadendo però che «i mercati sono sereni e anche noi nell’Ue siamo sereni, perché abbiamo fiducia nella democrazia italiana, nel popolo italiano e nell’impegno dell’Italia nell’Unione». Lo stesso Padoan, nel primo giorno a Siena da neo-senatore, ha replicato all’esponente grillino: «Di fronte alla pretesa che avrei avvelenato i pozzi, vorrei dire che consegniamo al prossimo governo un’economia e una finanza pubblica in netto progresso». Le parole di Moscovici vengono accolte con sollievo da Di Maio («Fa piacere, c’è bisogno di messaggi distensivi»), mentre proprio ieri lo spread sui titoli di Stato è risalito a 141 punti. Altra carne al fuoco viene messa però dai due leader. Ecco così Salvini annunciare che, in un ipotetico primo Consiglio dei ministri di un esecutivo di centrodestra, «cancelleremo le 7 più antiche accise» che 'gonfiano' il prezzo dei carburanti. E Di Maio, in un post sul ' blog delle stelle' in cui riferisce dell’incontro coi commercianti, fa una marcia indietro abbastanza clamorosa sul fronte dei voucher (il Movimento si spese nel 2017 per il sì al referendum abrogativo voluto dalla Cgil): «È necessario colmare – scrive il capo pentastellato – il vuoto lasciato dall’abolizione dei voucher, che erano stati trasformati in un abuso a danno dei lavoratori. Serve uno strumento che dia flessibilità al datore e nello stesso tempo diritti al dipendente».
L’agenda della politica economica si arricchisce di capitoli, dunque. L’urgenza prima resta tuttavia quella del Def, su cui è previsto un voto entro aprile. Delle due l’una: o si lascerà un testo sostanzialmente invariato (cioè con le clausole e un rapporto deficit/Pil 2019 in calo sotto l’1%, e già in questo caso per l’economista Carlo Cottarelli «non sarebbe semplice» per il nuovo Parlamento approvarlo) o, se si vorrà precisare invece che non scatteranno gli aumenti dell’aliquota minima Iva dal 10 all’11,5% e di quella ordinaria dal 22 al 24%), bisognerà anche indicare come far fronte agli oltre 12 miliardi necessari. Sul punto, Di Maio è più cauto, però, di Salvini: «Prima di parlare di sforamento del deficit andiamo a recuperare i soldi spesi e investiti male, la spending review è importante» (e qui Cottarelli torna in ballo). Anche perché, se l’Italia tornerà a far salire il deficit, può tornare d’attualità una 'manovrina' da 3,4 miliardi che la Ue potrebbe imporci a maggio. E che Lega e M5s si stiano 'annusando' sul fronte economico lo prova un ultimo elemento: incontrando, il giorno dopo Di Maio, la stampa estera Salvini ha detto: «Studierò la proposta 5 Stelle sul reddito di cittadinanza che è cambiata varie volte, finora ne ho lette tre versioni». Il tema, comunque, resta al centro. Ne ha riparlato anche Beppe Grillo, sostenendo che in una «società evoluta si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita ». E pure sulla «lotta ai vitalizi» parlamentari si registra, nella telefonata serale Salvini-Di Maio, un terreno comune. Intanto, in attesa di una maggioranza, la strada per esaminare il Def potrebbe passare per la nascita di commissioni speciali in Parlamento, un bis del dopo-elezioni del 2013 quando si faticò a far nascere il governo Letta.