Secondo il nuovo decreto sui documenti dei minori di 14 anni l’indicazione 'genitori' (con relativi nomi e cognomi) sostituisce 'madri' e 'padri' - Ansa
Solo madre e padre, se protagonisti consapevoli di una 'genitorialità naturale', possono garantire la piena dignità del figlio. Ne è convinto Emanuele Bilotti, ordinario di Diritto privato all’Università Europea di Roma e coordinatore del Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza.
Dal punto di vista del diritto, i nomi 'madre' e 'padre' sono intercambiabili con 'genitori'?
È bene ricordare anzitutto che, in una sentenza di aprile, la Cassazione ha affermato che in base alla legge italiana non è possibile formare atti di nascita recanti l’indicazione di una doppia maternità. Tale decisione ha fatto seguito alla sentenza con cui, nell’ottobre del 2019, la Corte costituzionale ha confermato la legittimità del divieto di accesso alla fecondazione eterologa per le coppie di donne. Il giudice delle leggi ha ritenuto che non possa considerarsi arbitraria l’idea sottesa a quel divieto: quella secondo cui, così dice la Corte, una famiglia sul modello della natura – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenta, in linea di principio, il luogo più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato. Bisogna però considerare che la stessa Cassazione, in due decisioni del 2016 e del 2017, non aveva ritenuto in contrasto con l’ordine pubblico la trascrizione di atti di nascita esteri recanti l’indicazione di una doppia maternità e che tali decisioni non sono state considerate in contraddizione con l’asserita impossibilità di formare simili atti di nascita in base alla legge italiana. Il limite dell’ordine pubblico è invece considerato operante in ogni caso di nascita da madre surrogata. In quest’ultimo caso, infatti, con un’importante decisione del maggio 2019 la Suprema Corte ha escluso la trascrivibilità dell’atto di nascita estero che accerti una genitoria- lità puramente intenzionale. E ciò perché, come aveva già riconosciuto la Corte costituzionale in una decisione del 2017, in caso di maternità surrogata viene in considerazione una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane.
Quali sono le funzioni che la nostra giurisprudenza assegna al padre e alla madre?
Al riguardo è bene muovere dalla previsione costituzionale secondo cui è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli. È interessante osservare che per la Costituzione la cura del generato non è solo un dovere dei generanti. È anche un loro diritto: un diritto fondamentale da far valere verso i pubblici poteri e verso tutti gli altri soggetti. Alla relazione tra i genitori e il figlio è dunque riconosciuta una fondamentale garanzia di 'privatezza': nell’esercizio del munus educativo dei genitori non sono consentite interferenze. Si ritiene evidentemente che la relazione tra generanti e generato sia il contesto migliore per la graduale maturazione di una persona libera. Un simile convincimento si fonda su un dato indubitabile: la gratuità che caratterizza quel rapporto almeno in linea di principio. Ora, però, perché tale carattere sia garantito è necessario che fin dall’origine la relazione col generato non sia insidiata da logiche strumentali, come avviene invece laddove la generazione consegua all’esercizio di un diritto a procreare con metodi diversi da quello naturale. È per questo che, nella sentenza dell’ottobre del 2019, la Corte costituzionale ha escluso che un simile diritto possa essere riconosciuto agli adulti in maniera generalizzata. E tale risposta negativa è stata ribadita anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza di aprile 2020. I limiti previsti dalla legge trovano dunque fondamento non in ragioni ideologiche astratte, ma nell’intento di preservare la dignità del nascere dell’uomo.
Emanuele Bilotti - .
Il concetto di differenza che è implicito nella scelta di nominare disgiuntamente madre e padre può essere superato senza problemi?
Se ci si pone correttamente nella prospettiva di preservare la dignità del nascere dell’uomo, e dunque di assicurare che la relazione umana originaria non sia svilita da logiche strumentali proprie delle cose, la questione non ha neppure ragione di porsi. Nella prospettiva indicata non dovrebbe essere configurabile un diritto alla procreazione attraverso il ricorso alle tecniche. Dovrebbe piuttosto riconoscersi un diritto fondamentale alla genitorialità naturale, e cioè un diritto della persona all’accertamento della genitorialità dell’uomo e della donna che hanno generato attraverso l’esercizio della sessualità. La posta in gioco è altissima: si tratta di salvaguardare il valore sovrautilitaristico della persona, e dunque la pari dignità di tutti.
Il nucleo omogenitoriale non è regolato dal nostro diritto. Quindi, se l’obiettivo è quello di non discriminare queste realtà, in base a quale legge cancelliamo i nomi di padre e madre?
Se ci si pone correttamente nella prospettiva della garanzia della dignità del nascere dell’uomo, ci si rende conto agevolmente che il problema dell’accesso alle tecniche riproduttive per le coppie formate da persone dello stesso sesso è solo un aspetto – piuttosto marginale sotto un profilo quantitativo – di una questione più ampia, che riguarda anche – e soprattutto – coppie formate da persone di sesso differente. Non basta dire che il padre è un uomo e la madre è una donna. La garanzia della dignità del nascere passa attraverso il riconoscimento che padre e madre devono essere coloro che generano attraverso l’esercizio della sessualità. Il ricorso alla maternità surrogata, del resto, è vietato – e ugualmente sanzionato – per tutti: per le persone singole e per le coppie, quale che sia la loro composizione. È vero invece che, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 2014 che ha annullato il divieto generalizzato di fecondazione eterologa, l’accesso a questa tecnica è consentito solo a coppie di maggiorenni di sesso diverso, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. Nella sentenza di ottobre del 2019 la stessa Corte costituzionale ha però chiarito che, del tutto legittimamente, il legislatore ha configurato le tecniche riproduttive come un rimedio alla sterilità o infertilità umana avente causa patologica e non altrimenti rimovibile. Certo, nella prospettiva della piena garanzia della dignità del nascere, anche una simile affermazione appare problematica. Non vi è dubbio però che in tal modo è stata significativamente ridimensionata la logica dell’autodeterminazione riproduttiva degli adulti accolta invece dal precedente del 2014. In ogni caso, sempre nella sentenza del 2019, la Corte ha precisato che l’infertilità fisiologica di una coppia di donne, di una donna sola o di una coppia eterosessuale in età avanzata è un fenomeno ontologicamente distinto dall’infertilità della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive.