giovedì 27 marzo 2025
In Consiglio dei ministri il testo per riconvertire in centri per il rimpatrio degli irregolari le strutture realizzate. Le opposizioni: un dl non basta, serve un nuovo protocollo con Tirana
Un miliardo per due centri vuoti. Sull'Albania il governo prova a cambiare

ANSA

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Le ultime esitazioni si sono sciolte in serata. Fino al pomeriggio infatti, nella scaletta del pre-Consiglio dei ministri, la bozza del nuovo “decreto Albania” non c’era. Ma intorno alle 20, da Palazzo Chigi è arrivato l’ordine del giorno del Cdm odierno, con la conferma della presenza di un o «schema di decreto legge» con «disposizioni urgenti per il contrasto all’immigrazione irregolare». Dei contenuti si è saputo poco. L’intenzione dovrebbe essere quella annunciata nei giorni scorsi dal titolare del Viminale Matteo Piantedosi: le due strutture per trattenere i migranti salvati in mare, costruite dall’Italia in Albania, potrebbero essere “riconvertite” in altrettanti Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), in cui trasferire e ospitare immigrati giunti in Italia irregolarmente e che hanno già ricevuto un provvedimento di espulsione, convalidato dalla magistratura.

Trattenimenti fino a 18 mesi

Attualmente le due strutture - la cui realizzazione e gestione è costata un miliardo di euro - sono vuote, in attesa di vedere cosa deciderà a fine primavera la Corte europea di giustizia sulle istanze in materia di “Paesi sicuri” sottoposte dai tribunali italiani. La prima, quella portuale di Shengjin, contiene solo un hotspot per l'identificazione, senza posti letto., e pertanto nel caso dovrebbe essere attrezzata con ulteriori spese. La seconda, a Gjader, è invece attrezzata con 880 posti per richiedenti asilo, 140 in una sorta di Cpr e altri 20 in un mini-penitenziario. Quest’ultima, a stare alle valutazioni del ministro Piantedosi, potrebbe dunque essere attivata «nei tempi più stretti possibili». Una volta varato il decreto legge (efficace per 60 giorni, pena la decadenza se non convertito dal Parlamento entro quel termine), i migranti irregolari su cui pende una misura di espulsione potrebbero essere trasportati da navi militari italiane in Albania e collocati nelle due strutture, per un periodo massimo di 18 mesi, cercando di organizzare il loro effettivo rimpatrio nei Paesi d’origine (sempre che con quegli Stati ci siano accordi bilaterali in vigore e concretamente applicati).

Tre mosse in una per difendere la linea

Negli auspici del governo, il maquillage delle due strutture avrebbe almeno tre obiettivi: il primo, sul piano politico, di difendere - agli occhi dell’elettorato nostrano ma anche degli Stati Ue e della Commissione, che si stanno incamminando verso la creazione di hub per migranti in Paesi terzi - la linea dell’esternalizzazione, inaugurata col Protocollo fra Roma e Tirana firmato dai due premier Giorgia Meloni ed Edi Rama e di mostrare che i centri (onerosi per lo Stato ma al momento vuoti, come da mesi sottolineano le opposizioni) possano tornare buoni per un utilizzo secondario, nella speranza che la sentenza dei giudici europei consenta poi di ridestinarli ai richiedenti asilo soccorsi in mare; sul piano pratico, stante la volontà dell’esecutivo di aumentare ancora la quota di rimpatri effettivi, avere la possibilità di affiancare ai 10 Cpr in funzione (Gradisca d’Isonzo a Gorizia; via Corelli a Milano; Torino, appena riaperto; Ponte Galeria a Roma; Bari Palese; Restinco a Brindisi; Palazzo San Gervasio a Potenza; Macomer a Nuoro; Milo a Trapani; Pian del Lago a Caltanissetta) altre due strutture fuori dall’Italia; e infine, sul piano mediatico, usare la notizia come grancassa per trasmettere all’estero l’idea che i “rimpatriabili” possono intanto essere trasferiti fuori dai confini italiani.

I dubbi delle opposizioni: non basta un decreto legge

Ma sulla mossa si addensano le perplessità delle forze di minoranza. «Sui centri in Albania Piantedosi fa il gioco delle tre carte - argomenta il deputato di M5s Alfonso Colucci -. Attualmente il governo non può portare in Albania persone già ospitate dai Cpr in Italia. Per farlo deve riscrivere il Protocollo con l'Albania e farlo approvare dai Parlamenti dei due Paesi. Inoltre, non potrebbe mai rimpatriarli direttamente da lì». Per Colucci, è solo un «accanimento su un progetto ormai chiaramente fallimentare, che ha sprecato un miliardo di euro degli italiani e, se riconvertito, comporterebbe altri sprechi». La pensa così anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi: «Servirebbero altri soldi, oltre al miliardo già stanziato».

Un decreto anche in materia di cittadinanza

Nell’odg del Consiglio odierno, figura anche un altro schema di decreto legge, con «disposizioni urgenti in materia di cittadinanza». Secondo alcune fonti, potrebbe contenere restrizioni per frenare l’eccesso di richieste fatte da discendenti di cittadini italiani residenti all’estero. Inoltre, in uno dei provvedimenti potrebbero trovar collocazione alcune norme traslate dal ddl sicurezza per garantire ulteriori tutele alle forze dell’ordine.

Il ddl sicurezza verso la terza lettura

Proprio il controverso ddl sicurezza infatti resta al vaglio del Senato. Ora procede verso l’esame in Aula e, con ogni probabilità, verso una terza lettura alla Camera. A determinarlo è stato l’ostruzionismo delle opposizioni, che nei mesi scorsi hanno depositato nelle commissioni oltre 1.500 emendamenti, sommato a un’obiezione della Ragioneria generale, che ha evidenziato un bug del testo: per alcune misure la previsione di coperture di bilancio era attribuita ai fondi del 2024, ma siccome l’esame si è protratto dovrà essere aggiornata al 2025. Pertanto il ddl dovrà comunque passare di nuovo alla Camera. Un allungamento dei tempi che soprattutto la Lega, nella maggioranza, fatica a digerire. Ma che darebbe la possibilità al centrodestra di presentare in Aula emendamenti che possano correggere norme (come quella sulle detenute-madri) su cui si erano appuntati i rilievi degli uffici legislativi del Quirinale. Dal canto loro, quando la seduta sarà calendarizzata, le opposizioni ripresenteranno in Aula molti emendamenti: «Adesso non c’è più ragione per non riaprire il confronto - osserva Andrea Giorgis, senatore del Pd - e per riscrivere in Aula un testo illiberale, pieno di strafalcioni giuridici e disposizioni di dubbia legittimità, che non garantisce ai cittadini più sicurezza, ma toglie loro un po’ di libertà».

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