martedì 27 settembre 2022
Il fondatore del Carroccio sul voto che ha punito il partito: «Dal popolo del Nord un messaggio chiaro, va ascoltato»
Matteo Salvini con Roberto Maroni

Matteo Salvini con Roberto Maroni - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Umberto Bossi, fondatore della Lega Nord, non eletto in Parlamento a causa di complicato conteggio previsto dall'attuale sistema elettorale, il Rosatellum. Una beffa, che fa rima con una valutazione politica errata dalla segreteria del partito nel valutare quale fosse il collegio più adatto dove candidarlo, per la quale lo storico leader padano ha tuonato contro il segretario della Lega Matteo Salvini, reo - secondo Bossi - del disastro elettorale di domenica: «Dal popolo del Nord c'è stato un messaggio chiaro, va ascoltato». E quella parola Nord sta a significare che il progetto sovranista di Salvini, secondo il padre nobile del Carroccio, ha tradito lo spirito originario del partito ed è per questo che i suoi elettori storici lo hanno mollato. Prima, è il ragionamento di alcuni colonnelli leghisti, «dal Carroccio sono scesi gli ultimi arrivati, quelli che si sono iscritti arrivando per esempio dalla diaspora di Alleanza Nazionale e che con Giorgia Meloni sono tornati a casa» poi se ne sono andati i «leghisti veri, che nel sovranismo non trovano nulla dei loro territori o di federalismo». E in mattinata ha rincarare la dose è arrivato il commento duro di un altro leader storico della Lega Nord, Roberto Maroni: «Ora serve un nuovo leader».

Dimettermi? Mai avuto così tanta voglia di lavorare. Resterò finché i militanti lo vorranno». Perché dopo il “patatrac” della Lega alle politiche, Matteo Salvini in realtà prova a serrare le fila ed esclude ogni possibilità di un suo passo indietro dalla guida del partito. Ma ormai la sua leadership sembra diventata fragile: dirigenti locali del partito raccolgono firme per chiederne la destituzione. Così lunedì sera ha incontrato un vertice con i governatori leghisti (che più di tutti nei loro territori hanno visto la flessione del Carroccio) e ha avvisato gli alleati di governo: al tavolo delle trattative per la formazione dell’esecutivo e per le regionali il Carroccio venderà cara la pelle. Perché ora c’è anche il problema della riconferma del governatore Attilio Fontana, con Letizia Moratti che continua a premere sul centrodestra - raccogliendo gradimento - per essere lei candidata a presidente della Lombardia. «Qui il centrodestra è maggioranza assoluta e squadra che vince non si cambia», mette le mani avanti Salvini che chiede «all’intero centrodestra di individuare subito il candidato governatore del Lazio».

Nessuna voglia, è il ragionamento del capo dei leghisti, di essere subalterni a Fratelli d’Italia che ha fatto il pieno di voti, per cui Salvini ha fatto subito in complimenti a Giorgia Meloni: «È stata brava». La rassicurazione e la garanzia dei vertici della Lega è sulla pattuglia di deputati e senatori creata. Infatti, stando all’algebra (quella parte della matematica che studia le quantità) sono comunque determinanti per la formazione dell’esecutivo e per avere margine di manovra politica in Aula.

La giornata di lunedì per Salvini è stata pesante non solo per la batosta nelle urne. È montata appunto la bora da Nordest (da Veneto e Friuli Venezia Giulia), con l’opposizione interna, che già si era palesata quando il leader leghista promosse la caduta del governo assieme a Silvio Berlusconi su imbeccata di Giuseppe Conte, che ha presentato il conto. «È innegabile come il risultato ottenuto dalla Lega sia assolutamente deludente, e non ci possiamo omologare a questo trovando semplici giustificazioni. È un momento delicato per la Lega ed è bene affrontarlo con serietà perché è fondamentale capire fino in fondo quali aspetti hanno portato l’elettore a scegliere diversamente», ha detto con grande chiarezza il governatore del Veneto Luca Zaia.

Poi c’è la relazione con “Giorgia” (Meloni) che non è mai stata felice tutta da ricalibrare, visto che ora i rapporti di forza tra Lega e Fdi all’interno del centrodestra si sono completamente ribaltati. «Punto ad arrivare sul podio» aveva detto alla vigilia del voto Salvini ma nel giro di una notte fra le mani si è ritrovato solo la medaglia di legno. Così dopo il silenzio della notte elettorale, il capo della Lega dai suoi in via Bellerio a Milano dove si trova il quartier generale del Carroccio - e non poteva fare altrimenti - ha parlato dicendosi ovviamente deluso per il risultato elettorale (8,89%, a fronte del 34,3% delle europee del 2019 e del 17,4% delle politiche del 2018). La Lega ha «pagato i mesi di sostegno al governo di Mario Draghi. Lo rifarei, ma ci è costato», ha detto ancora.

Ora si apre un capitolo nuovo per la Lega. Primo passo l’avvio della trattativa per l’indicazione dei ministri del futuro governo di centrodestra. Secondo passo, una riorganizzazione del partito, che inizierà con un «tour di ascolto» dei territori e la convocazione del Consiglio federale per l’analisi del voto. Proseguirà poi, secondo il percorso già avviato, che ha comunque tempi lunghi, la stagione dei congressi. Prima si concluderanno quelli cittadini - presumibilmente entro la fine dell’anno - poi ci saranno quelli provinciali e regionali. E infine, ma a «quel punto saremo già da tempo al governo», dice, faremo «un bel congresso federale con delle idee». L’idea è riuscire a recuperare in qualche modo per riottenere la fiducia.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: