Giorgia Meloni: no al salario minimo - REUTERS
Il dialogo sul salario minimo è al minimo storico alla vigilia dell’incontro, oggi alle 17, a Palazzo Chigi. Ci saranno, con Giorgia Meloni, i vicepremier Salvini e Tajani, i sottosegretari Mantovano e Fazzolari, e dall’altra tutti i partiti di opposizione tranne Italia viva (che, a un passo dalla rottura definitiva con Azione) ha scelto di ballare da sola.
Che alla presidente del Consiglio non piaccia la proposta delle opposizioni (che mira a innalzare a 9 euro le retribuzioni minime) non è un segreto e lei non ha fatto niente per dissimularlo, parlando di nuovo di «effetto spot» ed esito potenzialmente «controproducente». Ma tutto quello che non vuole, Giorgia Meloni - dopo aver ribadito che sul reddito di cittadinanza non si torna indietro - è esser accusata di insensibilità verso le categorie più indifese. La sua sfida sarà prima di tutto lessicale. Più che di “salario minimo” Meloni preferisce indicare un obiettivo più ambizioso e che si parli di “paga degna”.
E, forte di una relazione del Consiglio del Cnel adottata all’unanimità, ricorderà che in nessun Paese come in Italia la contrattazione collettiva ha una incidenza capillare, che copre il 95-97% dei lavoratori, restando fuori solo un ristretto numero, in massima parte precari. Poi ci sono i lavoratori “in nero”, ma quella è una partita diversa, che può essere giocata solo con incentivi all’emersione.
La partita in questione invece riguarda, in base ai dati Istat, circa 3 milioni e mezzo di sottopagati (le opposizioni ora però ne calcolano un milione in più) in virtù di contratti collettivi inadeguati. La filosofia del governo che Meloni ribadirà oggi esclude misure dirigistiche, ma intende incentivare meccanismi virtuosi nella libera contrattazione, in modo che se ne avvantaggino le categorie sotto la soglia senza creare effetto distorti in settori con retribuzioni più alte.
Fra le opposizioni Azione, che ha avuto un ruolo decisivo nell’apertura della trattativa col governo, non è insensibile a ragionamenti del genere. Ma di fronte alla chiusura che invece si annuncia su tutto il resto del fronte Palazzo Chigi ha già allo studio la sua proposta per un “salario degno”: soglia minima da assicurare solo a chi non è coperto da contratti collettivi (si stimano appena 160mila lavoratori) e per il resto si punta invece a detassare gli aumenti contrattuali, in modo che sia messo sul tavolo da parte del governo, al rinnovo dei contratti, un robusto incentivo per garantire ai lavoratori un aumento adeguato in busta paga, senza innescare effetti perversi di segno contrario per tutti gli altri. Mentre Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro della Camera, di Fdi, non esclude anche interventi sul cuneo fiscale, con il medesimo obiettivo di incentivare gli aumenti salariali.
Idee, al momento, non ancora messe nero su bianco. Da dettagliare al più presto se il confronto dovesse rivelarsi un dialogo fra sordi. In tal caso la maggioranza sarebbe pronta a far valere la forza dei numeri in Parlamento a fronte dell’offensiva delle opposizioni, che già minacciano invece una campagna di raccolta firme.
Alla vigilia tutto lascia presupporre un esito del genere. Giuseppe Conte accusa Meloni di dire «falsità». L’ex ministro del Lavoro Nunzia Catalfo aveva parlato di incontro che rischia di trasformarsi in «sterile passerella». E in serata il leader del M5s al Tg1 rivendica che quella sul salario minimo «non è una bandierina ma un obiettivo concreto per la tutela di 4,5 milioni di lavoratori sottopagati. Un principio di civiltà». E conferma di vedere il vertice «in salita». Una «trovata mediatica», nei sospetti di Riccardo Magi di +Europa. E il Pd con Elly Schlein intende far uso del confronto per chiedere conto al governo anche delle mancate dimissioni di Marcello De Angelis e dei mancati ristori per l’alluvione in Emilia-Romagna. Ma Azione con Osvaldo Napoli avverte: «Chi pensa di aprire la voce “varie ed eventuali” sappia che si intesterà il fallimento del vertice».