Di Maio in una foto del 2017 - Ansa
L'approdo pare stabile, il percorso è stato a dir poco tortuoso. Lo sbarco sul lido «europeista e atlantista» di Luigi Di Maio arriva dopo un lungo viaggio di 13 anni in cui ogni spiaggia "antisistema" è stata ampiamente perlustrata.
L’ultimo atto politico di "Gigino" è in realtà scritto nei primi passi del suo impegno pubblico: studente del liceo Imbriani di Pomigliano, è il rappresentante d’istituto del dialogo e della «responsabilità», moderato nei toni e negli slogan. Ciò che sta in mezzo tra la politica studentesca e la fondazione di "Insieme per il futuro" è una lunga deviazione dal tema in cui non manca nulla: con le immancabili giacca e cravatta blu, i capelli cortissimi mai fuori posto, Luigi Di Maio ha con disinvoltura chiesto l’impeachment di Mattarella in una surreale notte tardo-primaverile a Fiumicino, trattato con i Gilet gialli a Parigi mentre il presidente francese Emmanuel Macron provava a frenarne l’onda distruttrice, esultato sul balconcino di Palazzo Chigi per un 2,4% di deficit che poi il premier di allora, Giuseppe Conte, è andato a ricontrattare per evitare una nuova crisi da spread (sempre curiose le vicende politiche italiane, allora Di Maio spingeva la macchina al massimo dei giri e l’avvocato-premier provava a tenere un’andatura regolare).
Impossibile anche dimenticare il tour con Danilo Toninelli - entrambi da poco ministri del governo Conte 1 - sull’"Air force Renzi", per mostrare gli sprechi e gli sfarzi del «passato» che, si prometteva, sarebbero stati archiviati per sempre insieme ad auto blu e altre commodity della politica e dei potenti. Anche su questa faccenda, la storia si è divertita a causare la più fragorosa scissione della legislatura sul tema fondativo di M5s, il limite dei due mandati contro la cultura del «politico di professione» (perché, si può dire senza che nessuno si offenda, la politica estera è stata usata sia da Di Maio sia da Conte come paravento per una questione interna ben più spicciola, la composizione delle liste per il 2023).
Anche la domanda del presente, «cosa farà Luigi?», si connette alle origini dell’impegno dell’attuale ministro degli Esteri. Era il 25 maggio 2009: a Pomigliano, nel centro intitolato a Paolo Borsellino, sfilavano in un convegno i vertici del Pd bassoliniano. Luigi Di Maio era lì, grillino delle origini con l’amico di sempre Dario De Falco - poi suo uomo-macchina prima a Palazzo Chigi e ora alla Farnesina -, a chiedere «risposte» sul sistema clientelare dem, prendendosi spintoni e minacce da sedicenti militanti. Ora proprio con gli eredi di quel Pd il ministro degli Esteri dovrà probabilmente trovare sintonie e accordi, collegio per collegio, strappando posti per la sua squadra. E come sempre, avrà al suo fianco lo stesso amico del cuore di 13 anni fa, Dario De Falco, ieri nei corridoi del Senato con il carico di significati che la sua presenza ricorda ad amici e nemici politici: «Se c’è Dario, Luigi fa sul serio».
«Sul serio» Di Maio ha imparato a fare soprattutto da quando ha messo piede alla Farnesina. Una scuola politica quotidiana, tra diplomatici di prim’ordine e austeri consiglieri. Poi la "folgorazione" per Draghi, che il ministro degli Esteri voleva al Quirinale contro la volontà di Conte. Da lì tra i due il dialogo è finito. E uno dopo l’altro, "Gigino" ha rimesso in fila tutti gli errori del passato, ne ha parlato e scritto, arrivando alle «scuse». Sincero il suo cambio di rotta? C’è chi diffida. Ma, logica alla mano, l’approdo nel campo del centrismo euroatlantico può essere considerato definitivo: altre carte-imprevisto, Di Maio, non ne ha da usare. Altri sospettano che riprenderà tra le mani una certa tradizione trasformista: ma questo, alla fine, dipende dai consensi, dalla capacità di arrivare in Parlamento e dai numeri per la nascita dei governi.