Conte, Grillo e Di Maio - Ansa
Qualsiasi sia l’esito formale dello scontro tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, un dato è certo: il Movimento 5 Stelle che abbiamo conosciuto nel 2013, e che si è poi affermato alle elezioni del 2018, nei fatti non esiste più.
Quel concentrato di istanze più che eterogenee, tenuto insieme dalle invettive di Beppe Grillo e dalla strategia politica e digitale di Casaleggio Sr., non ha retto la prova del governo. Ha subito una scissione a sinistra durante l’esperienza giallo-verde, una scissione a destra durante l’esecutivo giallo-rosso e ora vive sul bivio di una scissione al centro, con la componente “europeista” e “atlantista” che non intende tornare ai posizionamenti “radicali” delle origini nemmeno a scopo puramente elettorale. Mentre un’altra scissione strisciante già si annuncia, e riguarderà chi presto capirà di non poter resistere né alla barriera dei due mandati né alla nettissima diminuzione, nel 2023, della pattuglia parlamentare pentastellata. Le cinque stelle delle origini promettono di andare ognuna per proprio conto a colpi di penultimatum: chi con un forte profilo identitario, ecologista e pacifista dentro il campo progressista, chi verso il centro moderato, chi verso la sinistra e la destra radicale, chi proverà a seminare nuovi soggetti “antisistema”.
La vicenda di questi giorni, e l’esito provvisorio che si sta configurando, va considerata però come un oggettivo pasticcio: da un lato viene “diffidato” il ministro degli Esteri, messo in uno stato di pre-sfiducia per aver richiamato il Movimento a tenere una sola linea di politica estera, dall’altro però quella stessa linea viene ribadita come l’unica possibile anche per M5s. Un pasticcio in cui è difficile persino dire chi abbia forzato davvero la mano: Giuseppe Conte per far emergere i “governisti” e metterli sull’uscio, o Luigi Di Maio per costringere la sua parte politica a non oscillare più tra “lotta e governo”. Di certo il tema della armi a Kiev, sollevato da Conte e da parte del Movimento nelle settimane scorse, è così serio, importante e impegnativo da non poter essere messo al centro di una disputa di partito che ha palesemente altre finalità, strettamente e oggettivamente interne, di “potere”.
Resta intatta la necessità, a più di tre mesi e mezzo dall’ultimo atto di indirizzo del Parlamento sul conflitto, di un momento parlamentare di confronto sulla linea italiana nel contesto europeo e transatlantico, nella consapevolezza sia di quanto conti l’unità politica in un momento così delicato, sia di quanto sia importante ascoltare nel luogo più importante della nostra democrazia tutte le voci e tutte le sensibilità.