lunedì 15 luglio 2024
Entrato nella seconda metà operativa, il Piano Ue procede a rilento per la spesa effettiva: solo metà dei 102,5 miliardi incassati E alcune uscite sono poco utili. Giorgetti insiste sull'allungamento
L'enigma Pnrr: forse miraggio, forse panacea, forse zavorra

ANSA

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Da miraggio alle porte, quasi una possibile panacea di ogni male, a zavorra di non semplice gestione: il tragitto percorso finora dal Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza voluto dalla Unione Europea nel 2020 della piena pandemia e negoziato per giorni a Bruxelles dall’allora premier Giuseppe Conte, somiglia sempre più alla parabola di quelle giovani stelle (dello sport come dello spettacolo) che vanno presto incontro a una difficile evoluzione.

Il contesto è noto e registra un convitato di pietra, sempre più presente nei conciliaboli fra Palazzo Chigi e la Commissione Europa (e solo pochi giorni fa rilanciato in pubblico da Giancarlo Giorgetti): una sua eventuale proroga rispetto alla scadenza ora fissata tassativamente a giugno 2026. Il ministro dell’Economia sembra essere convinto che alla fine ci sarà. Anche se nessuno vuole darla oggi per acquisita e - casomai - non se ne parlerà prima di un anno, anche perché rappresenterebbe un disincentivo per un Paese come il nostro, storicamente abituato a non riuscire a spendere più della metà dei fondi ordinari europei a disposizione. Il tema è stato rilanciato qualche giorno fa alla luce di un documento della Ragioneria generale dello Stato che, di fatto, ha solo confermato quanto già scritto nell’ultima relazione ufficiale del governo, risalente a febbraio scorso: su 102,5 miliardi di euro incassati finora (le prime 4 rate più il prefinanziamento, sul totale delle 10 tranches previste per un importo complessivo di quasi 195 miliardi) ne sono stati spesi non più di 49,5. Una capacità di spesa, finora bassa, che preoccupa il governo Meloni (tornato a scoprire il “volto duro” dell’Ue dopo la procedura avviata per via del deficit 2023 al 7,4% che va riportato sotto il 3%) soprattutto per un aspetto: la quasi totalità dell’1% di crescita per quest’anno ancora attesa dal Tesoro è prevista a seguito dell’apporto delle misure presenti nel Piano Ue. Senza queste, anche il Pil viaggerà al ribasso, con tutte le conseguenze del caso sui conti pubblici.

Ma l’esecutivo Meloni non si è sempre fatto vanto che l’Italia «è la prima nazione europea per realizzazione del Pnrr, nonostante abbia il piano più corposo fra tutti», al punto che ha da poco ricevuto pure il primo ok di Bruxelles al pagamento della quinta rata? Il fatto è che questa affermazione è vera solo per metà. Il nostro Paese sta sì pienamente rispettando, anche dopo la revisione del Piano fatta un anno fa, la tabella di marcia degli obiettivi e delle riforme concordate per far scattare il disco verde alle prime rate. C’è però il rovescio della medaglia, ed è appunto quello dei ritardi nella spesa, quegli stessi ritardi che erano stati citati da Meloni nell’autunno 2022 per addebitare taluni ritardi all’eredità del governo Draghi.

Inoltre l’Italia è sì uno dei soli tre Paesi che hanno ricevuto 4 rate (gli altri sono Croazia e Portogallo), ma questo non è necessariamente un indice di maggior qualità, anche perché le 10 rate sono state chieste solo da 10 Stati (oltre ai 3 suddetti, Spagna, Belgio, Grecia, Cipro, Romania, Slovacchia e Slovenia), gli altri si fermano a meno rate. Peraltro, come noto, l’Italia è anche lo Stato che più ha chiesto prestiti da rimborsare (122 miliardi), mentre altri si sono fermati alle sole sovvenzioni a fondo perduto. Inoltre, da fonti Ue l’Italia avrebbe raggiunto il 295 dei traguardi e obiettivi concordati, contro una media europea del 19%; però è anche vero che 5 Paesi (tra cui la Francia al 51%) hanno percentuali più alte di noi.

E se poi l’impiego dei fondi resterà a un livello basso (specie per le opere pubbliche più impegnative), sarà anche più difficile riu-scire a ottenere le ultime rate in programma. Da qui l’esigenza di far procedere i cantieri in parallelo alle norme. Siamo entrati ora nella seconda metà operativa del Piano e va fatto pure un discorso di qualità della spesa. Perché, per elevarla, si è cominciato a impiegare i soldi per voci che difficilmente produrranno un vero ritorno di crescita: sono già emersi sui giornali alcuni casi eclatanti, come i 10 milioni per rifare il mercato dei fiori di Pescia pistoiese o i fondi per gli scivoli acquatici a Bolzano o quelli per i proiettori in una serie di cinema. Forse anche per questo dalla Germania, col ministro delle Finanze Christian Lindner, ieri all’Eurogruppo è venuta una linea molto chiara: «Gli Stati devono continuare a essere responsabili sulle proprie finanze pubbliche, la mutualizzazione del debito non contribuisce alla stabilità e quindi non la sosterremo». Il Pnrr, insomma, resterà un figlio unico.

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