«Ho lavorato per otto anni con un contratto riconosciuto dai sindacati, versando regolarmente i contributi previdenziali: perché il mio servizio non è valido?». Sono migliaia gli ex-insegnanti delle scuole paritarie, ora di ruolo negli istituti statali che, come Filomena Pinca, si pongono questa domanda. Dalla cui risposta dipende buona parte della loro carriera professionale ma, anche e soprattutto, della loro serenità familiare.
Per fare luce su una questione che, ancora, vede discriminato il sistema della scuole paritarie (questa volta sul versante dei docenti), la professoressa lucana ha avviato una campagna a nome del Comitato nazionale per il riconoscimento del servizio prestato nella scuola paritaria, di cui è presidente, che associa circa 800 insegnanti, dalla materna alle superiori. «Dopo otto anni di servizio presso un istituto superiore paritario – racconta Filomena Pin- ca, residente a Valsinni (Matera) – sono stata assunta dallo Stato e destinata a una scuola media di Subiaco, in provincia di Roma, come insegnante di sostegno. Per restare vicino alla mia famiglia ho fatto domanda di trasferimento, scoprendo così che il punteggio accumulato negli anni di lavoro alla paritaria, non era ritenuto valido per ottenere il cambio di sede».
Dei 163 punti finora raggranellati, che la ponevano tra le prime posizioni della graduatoria e quindi con buone possibilità di essere avvicinata a casa, alla professoressa Pinca ne sono stati ritenuti “validi” circa quaranta. Troppo pochi per nutrire concrete speranze. «Per noi – prosegue la docente lucana – la beffa è doppia. Non solo, infatti, gli anni di servizio nella paritaria non sono riconosciuti per la mobilità, sia territoriale che professionale, per i passaggi di ruolo, ma nemmeno per la ricostruzione della carriera. In pratica, quando mi hanno assunto nello Stato ho dovuto ricominciare da capo, come se non avessi mai insegnato un solo giorno. E questo significa perdere tutti gli scatti di anzianità maturati nel corso degli anni».
Il Comitato ha fatto un conto di quanto questa seconda discriminazione, rispetto ai colleghi delle scuole statali, pesi sulle loro buste paga, in termini di mancato adeguamento dello stipendio e lo hanno messo in evidenza in una Petizione al Parlamento Europeo, registrata a Bruxelles lo scorso 6 luglio: più di 2,5 miliardi di euro. La petizione denuncia la violazione della direttiva comunitaria «che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro», tra i dipendenti precari e quelli a tempo indeterminato. Una parità che, a proposito di scuole, è sancita in Italia dalla legge 62 del 2000 a cui fa riferimento il decreto legislativo 255 del 3 luglio 2001 che recita: «I servizi di insegnamento prestati dal 1° settembre 2000 nelle scuole paritarie sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali ».
Peccato, denuncia Filomena Pinca, che, per quanto riguarda la mobilità e la ricostruzione della carriera, al Ministero prendano ancora in considerazione il Testo Unico del ’94, antecedente quindi alla legge sulla parità e da questa superato. «La parità scolastica – conclude la presidente del Comitato – non è una questione limitata alla, pur importante, erogazione dei finanziamenti statali alle scuole, ma riguarda anche la dignità dei docenti. Essere invece considerati, non a parole ma nei fatti, di serie B è per noi discriminatorio e mortificante. E ci spinge a batterci per far valere le nostre ragioni e i nostri diritti».