giovedì 26 settembre 2024
Il ricordo commosso delle vittime: Giusi, Martina, Francesco, Paolo e Roberto. E poi l'invito alla comunità: «Non sorvoliamo con facilità sulle parole e sui gesti che possono diventare tossici»
Giusi e la figlia, Martina. Sono state uccise da Roberto Gleboni nella strage familiare di mercoledì a Nuoro

Giusi e la figlia, Martina. Sono state uccise da Roberto Gleboni nella strage familiare di mercoledì a Nuoro - Fotogramma

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«Impossibile pensare o aspettarsi che le parole spieghino il dolore del dramma familiare avvenuto a Nuoro. Si rabbrividisce solo a tentarci. Giusi (43 anni), Martina (25), Francesco (10), Paolo (69) e Roberto (52). I loro nomi non sono un elenco, ma una storia interrotta, un’umanità negata e tradita. E sono tutti vittime. Anche Roberto, vittima di se stesso, del suo (forse) mal di vivere, che (forse) non amandosi ha voluto trascinare nel baratro della morte chi lo amava, come sua figlia che l’aveva indicato come “l’amore più grande della sua vita”». È una riflessione commossa, quella che il vescovo di Nuoro Antonello Mura ha affidato alla sua comunità dopo la strage familiare che ieri ha sconvolto la città e il Paese intero.

«Questa sconfitta dell’amore - continua il presule - ne ricorda anche la sua fragilità, soprattutto quando, pur trovando posto nel nostro cuore, non riesce ad affrontare e a superare le prove della vita. La tristezza e lo smarrimento che hanno raggiunto parenti, amici e opinione pubblica è evidente anche in tutte le comunità parrocchiali. E ci lascia molti interrogativi e qualche impegno, oltre alla preghiera». Già, perché la violenza secondo Mura «è una “presenza” che non va negata o rimossa, tantomeno banalizzata. Al contrario va riconosciuta, narrata, denunciata. Parliamone in famiglia e in comunità, come nella scuola. Non sorvoliamo con facilità sulle parole e sui gesti che potenzialmente possono diventare tossici. Rivelerebbe che non abbiamo occhi per vedere quante relazioni, anche le più intime, rischiano di diventare un problema sociale».

Di più: «Occorre continuamente riconciliarsi, costruire alleanze educative, rapporti di stima vicendevole, d’amore, di libertà, di reciprocità. Oggi ce lo chiedono i volti atterriti di un figlio (Sebastiano) e di una madre (Maria Esterina) fortunatamente solo feriti, ce lo impongono le loro grida. Ora anche Dio fa silenzio, e si accosta con discrezione alle vittime e ai feriti, non smettendo di indicare un’altra strada, un altro modo di essere e di vivere - conclude il vescovo -. E continua a rispettare la nostra libertà e, ancora una volta, la ama fino a morirne».

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