Il vescovo di Trieste, Enrico Trevisi
Vescovo di Trieste da poco più di un anno, Enrico Trevisi ha subito voluto affrontare la questione degli arrivi dalla rotta balcanica. Prima è andato la sera in piazza della Libertà per rendersi conto della situazione sia all’ex Silos che dei transitanti. Poi ha nominato direttore della Caritas diocesana padre La Manna e ha aperto il dormitorio per 25 persone vulnerabili in via S.Anastasio.
Come giudica l’eventuale sgombero del Silos?
Una situazione per troppo tempo trascurata sembra essersi ora sbloccata per l’interesse delle istituzioni, se non sono solo promesse. In prevalenza ci stanno persone già registrate dalla Questura che hanno perciò diritto di venire accolti nel circuito dell’accoglienza per richiedenti asilo. A questi si aggiungono i transitanti che desiderano proseguire perché Trieste è solo una tappa del loro lungo viaggio della speranza che passa dalla rotta balcanica.
Come ha risposto all’emergenza la Chiesa di Trieste?
Ci siamo attivati per dare un minimo di assistenza umana a chi passa nel dormitorio ricavato nella parrocchia in via Sant’Anastasio. Un segno della comunità dei credenti. A volte arrivano famiglie anche con bambini molto piccoli e non era sopportabile lasciarli a dormire in strada. Ovviamente abbiamo allargato a donne sole e agli adulti se c’era posto. Si tratta di un’accoglienza che facciamo come Chiesa, senza ricevere sussidi da parte delle istituzioni pubbliche, solo per evitare che una mamma passi la notte all’addiaccio con i figli piccoli all’acqua, al freddo o con la bora. Si tratta di una esperienza dove fino a esaurimento posti prendevamo tutti quelli che avevano bisogno, anche oltre il tetto dei 25 posti. Il dormitorio, una sala parrocchiale, è nato per fronteggiare una situazione di fragilità e ha comunque il pregio di essere vicino alla stazione e, anche se è nato per i mesi freddi, continuerà la propria attività finché servirà.
Come può rispondere la città al problema dei migranti?
Le risposte vanno date insieme, nessuno ha le risposte per problemi così complessi. La comunità cristiana è presente, abbiamo cercato di risvegliare il volontariato coinvolgendo 100 persone nell’esperienza dell’accoglienza. C’è la società civile, nella quale ci collochiamo con la presunzione di essere lievito che fa fermentare altre collaborazioni. È bello mescolarsi con l’obiettivo di alleviare le sofferenze delle persone, Poi c’è il lato delle istituzioni locali, nazionali ed europee. Problemi tanto complessi richiedono l’apporto di ciascuno. La Chiesa da sola non può farcela, questo dei migranti è solo un segmento delle povertà che ci stanno a cuore. È il Vangelo a dirci di fermarci e prendercene cura.