sabato 28 dicembre 2024
A San Maurizio Canavese, i frati Fatebenefratelli gestiscono la Rems “Anton Martin”: in una palazzina è ospitata una comunità formata da 20 ospiti, tutti psichiatrici ad «alta pericolosità sociale»
La Rems di San Maurizio Canavese, in provincia di Torino

La Rems di San Maurizio Canavese, in provincia di Torino - Ufficio stampa Fatebenefratelli

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Esistono anche piccole basiliche in cui è più difficile aggrapparsi alla speranza, ma ci si prova. Viene spontaneo ripensare alle parole di papa Francesco a Rebibbia, quando si varca la porta – blindata e allarmata – della Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) Anton Martin di San Maurizio Canavese, in provincia di Torino. L’unica Rems cattolica in Piemonte, gestita dai frati Fatebenefratelli. Gli stessi del Presidio sanitario Fatebenefratelli, più noto come ospedale Beata Vergine Consolata. Una comunità di venti ospiti, circondata da recinzioni alte quanto discrete. Non è ancora chiaro se difendono chi sta fuori o chi sta dentro. I pazienti sono tutti psichiatrici ed autori di reato per i quali la magistratura ha indicato un’alta pericolosità sociale. Sovente arrivano qui, ci raccontano i sanitari e gli educatori che li assistono (una trentina), dopo aver assaggiato la quotidianità delle patrie galere, «e non è un toccasana per un malato di mente» commenta il direttore sanitario Alessandro Jaretti Sodano.

Dall’esterno, questa sembra una palazzina come altre. Gli ambienti non sono quelli dell’ospedale psichiatrico giudiziario ed infatti la legge 81 del 2014 che ha istituito le Rems punta a superare il momento della custodia applicando a questi malati la logica sanitaria, quella della cura e della riabilitazione. Se non che, diversamente da Rebibbia, quando le sbarre sono nella mente, è più difficile aggrapparsi alla speranza perché il “fine pena mai” è tutt’uno con la propria vita. Eppure ci si deve provare, come si prova a guarire un tumore inoperabile. Con i farmaci, con la psicoterapia, con i lavori di gruppo e le attività educative… «Mi fa sorridere chi dice che è inutile curare una psicopatologia complessa che non si può guarire. Neanche dal diabete si guarisce ma non lasciamo morire chi ne è affetto» commenta il medico.

E il direttore del presidio ospedaliero Fatebenefratelli, Dante Viotti, ricorda che la Rems non opera da sola: «Avere la Regione vicino, operare in sinergia, ci ha permesso di costruire un percorso virtuoso che comprende una Srp di primo livello forense, la comunità di secondo livello San Benedetto Menni, e la comunità alloggio di terzo livello il Melograno». L’obiettivo è quello di «riaccompagnare a un reinserimento nella società con la giusta dignità il paziente, nel rispetto dei valori che ci ha trasmesso san Giovanni di Dio».
Che poi ci si riesca dipende dalla tipologia del disturbo mentale. In alcuni casi, dopo qualche anno, il giudice riconosce che la pericolosità si è attenuta e il paziente viene dimesso per passare in comunità o ad un alloggio. Un giovane omicida oggi è cuoco in una struttura sanitaria e vive un’esistenza normale. Molti altri possono solo aggrapparsi alla speranza di riuscirci ed in qualche caso non hanno neppure consapevolezza di poterci arrivare. «Fuori di qui c’è tanta paura per ciò che potrebbe fare un paziente che sta seguendo il nostro percorso e viene dimesso, noi invece ci preoccupiamo per chi raggiunge la piena consapevolezza del reato: “guarire” è raro e quando avviene i sensi di colpa sono schiaccianti. Il rischio suicidario va sempre tenuto in considerazione», commenta Jaretti Sodano.

Un altro luogo comune riguarda le terapie: i pazienti non sono più imbottiti di psicofarmaci, come negli opg. Esistono tecniche più sofisticate per riabilitare un malato di mente. Una realtà molto diversa dal passato, che recentemente è stata illustrata da una mostra fotografica di Max Ferrero a Pianezza. In quell’occasione, Bruno Mellano, garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà della Regione Piemonte, ha dichiarato che «il Piemonte ha deciso di operare in convenzione con strutture private e così facendo ha creato un modello che ha funzionato meglio che in altre Regioni, in quanto ha potuto far leva sulla competenza e sulla passione di operatori già esperti del settore che hanno messo in campo anche la disponibilità personale».

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