venerdì 28 marzo 2025
Il reportage in una mensa di Sant'Egidio tra le persone accolte. Nella Capitale ci sono almeno 350mila persone che faticano per lavoro, casa e salute
Migliaia di vite in bilico a Roma, salvate dal segreto della felicità
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«Mi sento sempre felice. Anche quando non ho un lavoro, penso che qualcuno mi richiamerà. La speranza non l’ho mai persa, neppure nei momenti più difficili, quando vivevo sotto un cavalcavia di Roma. Ho sempre sperato di poter cambiare quella vita», Franco è uno dei circa 1.300 ospiti che ogni settimana vanno in una mensa di Sant’Egidio a Trastevere, nella Capitale. Lì trova un pasto caldo, un luogo accogliente «gente che mi vuole bene».
Nonostante il suo volto sorridente, Franco è una di quelle persone che a Roma, come in altre grandi città italiane, vivono sempre un po’ in bilico. Una notte, quando era ancora sotto quel cavalcavia, dei volontari gli si sono avvicinati e hanno iniziato a parlargli. Lo hanno aiutato a trovare una via d’uscita: «Io li chiamo angeli perché mi hanno salvato. Dopo un po’ ho trovato pure un lavoro e da lì non mi sono più fermato». Tuttora non ha una retribuzione alta e gli capita anche di rimanere disoccupato per qualche mese, come in questo momento. Finora è riuscito a mantenere la casa in cui vive, però «spero che tra un po’ mi chiamino di nuovo per lavorare, altrimenti non potrò più pagare l’affitto e allora…». Si interrompe, sorride: quel cavalcavia a Franco sembra sempre dietro un angolo.
Come lui, sull’orlo di un baratro, nella Capitale ci sono almeno 350 mila persone che faticano per lavoro, casa e salute. Ce lo ha mostrato chiaramente nei mesi scorsi il Rapporto sulla povertà a Roma “Tra indifferenze e speranze”, stilato dalla Caritas della diocesi, che parla di un 12,7% di romani a rischio povertà. Lo ha ribadito in questi giorni l’ultimo report Istat che a livello nazionale mostra un peggioramento dei redditi disponibili per circa 850 mila famiglie, soprattutto quelle più povere. Solo a Roma, inoltre, sono oltre 22 mila le persone senza fissa dimora (non solo homeless). «Da un lato c’è chi ha una casa, ma non riesce a sostenersi e vive un isolamento sociale, per cui va aiutato a non perderla – spiega Augusto D’Angelo, responsabile dei servizi per i senza dimora della Comunità di Sant’Egidio a Roma –. Ma ci sono anche quelli senza una dimora e in queste situazioni la necessità è che prima o poi un alloggio lo trovino». D’Angelo, nei tanti anni di impegno nella Comunità, ha imparato a conoscere «i nostri amici e le loro difficoltà».

Alla mensa di Sant'Egidio a Trastevere, Roma

Alla mensa di Sant'Egidio a Trastevere, Roma - undefined


Ogni storia è a sé. Alla mensa di Trastevere, per esempio, può arrivare «l’uomo che si è separato dalla famiglia e per un periodo vive in macchina, cedendo man mano all’alcol, oppure l’anziano che non riesce a pagare l’affitto e le bollette e quindi viene qui a mangiare per risparmiare, ma ci sono anche tanti giovani un po' sperduti che fanno fatica a trovare il loro posto nella società, o ancora persone fuggite da Paesi martoriati da guerre e siccità». I problemi maggiori sono legati alla casa, «e in questo senso come Sant’Egidio cerchiamo pure di tirarli via dalla strada attraverso accoglienze notturne e approdi in cohousing sociali grazie ai quali possono risperimentare la propria autonomia». Gli ospiti della mensa, inoltre, spesso sono persone che faticano ad accedere alle cure, «magari non hanno i documenti o “si perdono” senza un accompagnamento».
Per chi vive prevalentemente in strada anziché nelle strutture, poi, i pericoli per la salute sono maggiori. A Roma, secondo il recente censimento nel comune, meno del 10% degli “street homeless” intervistati riesce ad accedere a cure e farmaci, un numero che sale a poco più del 20% per chi dorme nelle strutture. Anche per questo motivo, la vita in strada è ancora causa di morte. Il 2024 è stato un anno record per il numero di senza tetto deceduti. Sono stati 434, con Roma e Milano in testa per la percentuale di vittime. «Se per dormire tranquilli bisogna andarsi a nascondere, quando poi ci si sente male è difficile trovare un aiuto. Il problema è la solitudine sociale», ribadisce D’Angelo. Una parziale risposta quest’anno nella Capitale è arrivata con le tensostrutture aperte in occasione del Giubileo. Non coprono il totale di persone in strada, ma sono comunque «una risposta positiva, perché sono state pensate per ospitare nei pressi delle principali stazioni, sia d’estate che d’inverno, sono posti in cui dormire, mangiare, lavarsi e che offrono anche una vigilanza sulla salute».
Il problema principale per D’Angelo resta però la scarsa attenzione della società nei confronti degli invisibili. «Bisogna pensare che il proprio intervento non è mai irrilevante per loro», spiega. Non lo è neppure per chi li assiste. «Tra i volontari della mensa ci sono persone di tutti i tipi, studenti, lavoratori, pensionati… le accomuna l’aver scoperto che spendere del tempo per gli altri aiuta un po’ anche noi stessi. Sono tutte persone che hanno trovato il segreto della felicità».

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