mercoledì 6 gennaio 2016
Finora stop a 88 strutture sotto i 500 neonati Il Ministero: salvaguardia per i territori disagiati. IL GRAFICO
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Mentre gli ispettori sono al lavoro per far luce sui recenti casi di donne morte in sala parto (i primi risultati sono attesi per domani), il ministero della Salute conferma il piano di riduzione dei punti nascita, con l’obiettivo di chiudere quelli sotto i 500 parti all’anno e razionalizzare quelli sopra i 500 ma sotto i mille. Previsto dall’accordo del 16 dicembre 2010, sottoscritto in Conferenza unificata, il piano ha portato, dal 2011 al 2014, alla chiusura di 88 punti nascita sotto i 500 parti all’anno, mentre sono 104 quelli ancora da chiudere. Stando, però, ai dati Cedap (Certificato assistenza al parto) relativi al 2014, su un totale di 498 punti nascita attivi in Italia (409 pubblici e 89 privati accreditati), quelli sotto i 500 parti sono 116. Quindi, almeno in dodici casi, è aperta una riflessione sui “tagli” da operare e anche lo stesso Piano ministeriale prevede una deroga per i punti nascita situati «in zone oro-geograficamente difficili, in cui vi sono reali difficoltà per le donne di recarsi in ospedali distanti dai luoghi di abitazione». Questo senza, comunque, derogare alla «necessità che vengano rispettati tutti gli standard operativi, tecnologici e di sicurezza». Che in Italia sono molto alti, conferma la responsabile del Sistema sorveglianza mortalità materna del-l’Istituto superiore di Sanità, Serena Donati. «Nel nostro Paese – ricorda l’esperta – si verificano 10 morti materne ogni 100mila nati vivi e, quindi, circa 50 in un anno. Siamo a livello di Francia e Regno Unito. Le donne possono assolutamente stare tranquille: in Italia il percorso nascita è affidabile». 

 Siccome, però, almeno il 50% delle morti materne «potrebbe essere evitata», dal 2008 è operativo un sistema attivo di sorveglianza che, dal 2010, coinvolge otto Regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia), che insieme coprono il 73% dei parti totali. «In queste regioni – spiega Donati – abbiamo svolto attività di formazione per tutti gli operatori e, ogni volta che avviene una morte materna, si avvia un’attività di audit e di indagini confidenziali (come avviene nel Regno Unito dal 1952). Tutto viene poi riportato all’Istituto che arriva a una conclusione». In questo modo, per esempio, si è scoperto che oltre la metà (il 51% per la precisione) degli episodi di morte materna sono legati all’emorragia post partum.  «Per ridurre al massimo questi episodi – prosegue Donati – abbiamo già effettuato attività di formazione specifica del trattamento dell’emorragia post partum che ha coinvolto oltre 6mila professionisti. Per affinare ancora di più il sistema, oltre ai casi di morte prendiamo in considerazione anche i cosiddetti near miss, i “quasi decessi” che ci dicono dove sono le criticità del sistema. Il nostro obiettivo è ridurre a zero le morti evitabili». Decessi e near miss sono segnalati all’Istituto da una rete di 372 strutture sul territorio collegate direttamente con il centro attraverso operatori appositamente formati. «Stiamo lavorando per elevare gli standard di sicurezza – conclude Serena Donati – e anche i casi di questi giorni, concentrati in modo assolutamente atipico, rappresentano un’infelice casualità in un sistema che, ripeto, è sicuro». Ciò nonostante, dopo la Federazione delle ostetriche, ieri anche i ginecologi sono tornati a chiedere al ministro Lorenzin impegni concreti circa «le problematiche strutturali e di organico che assillano gran parte dei punti nascita italiani». L’appello è firmato da Nicola Colacurci, Paolo Scollo e Vito Trojano, rispettivamente presidenti dell’Associazione ginecologi universitari italiani, della Società italiana di ginecologia e ostetricia e dell’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri. Le nuove norme europee su orari e riposi in sanità, spiegano le associazioni, «ha acuito la carenza, già grave e in alcune regioni cronica, nelle dotazioni di organico, a cui spesso non si sa come far fronte o che vengono tamponate con personale interinale che non permette la creazione di una equipe multidisciplinare (ginecologo, ostetrica, anestesista), prerequisito per l’ottimizzazione della cura delle urgenze ostetriche».
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