venerdì 10 marzo 2023
La premier: non ci siamo voltati dall’altra parte, inaccettabile dire che le istituzioni non hanno voluto salvare. I cronisti la incalzano e la correggono sugli allarmi di Frontex
Il Consiglio dei ministri a Cutro

Il Consiglio dei ministri a Cutro - Fotogramma

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«Non accetto ricostruzioni» del naufragio di Steccato di Cutro che lascino intendere che il governo si sia «girato dall’altra parte». Nel chiostro cinquecentesco, edificato dalle monachelle di Santa Chiara e oggi sede del municipio di Cutro, le parole della premier Giorgia Meloni risuonano, stentoree. E salgono di tono quando le domande dei cronisti presenti, oltre un centinaio, si accavallano, senza più ordine di prenotazione, puntando sul perché la macchina dei soccorsi in mare, nella notte fra il 25 e il 26 febbraio non si mise in moto in tempo per provare a salvare gli oltre 180 migranti a bordo del caicco Summer Love.

Lei non ci sta, critica i «titoli» e le ricostruzioni apparse su diversi giornali. Dice che la segnalazione di Frontex arrivò solo con il barcone «in acque italiane», poi si corregge incalzata dai giornalisti. Difende il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, seduto anche lui al tavolo, ribadendo che non si poteva «fare di più». Prima di lei, il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini, da cui dipende la Guardia costiera, ha difeso i suoi uomini, facendo sapere che «in queste ore, sono in corso 25 interventi di salvataggio in mare». Meloni riprende le sue parole e respinge le ipotesi di chi accusa il governo di avere deliberatamente lasciato morire i migranti. Non è questo però - lo si capisce appena la premier inizia a parlare - il tema che preme al governo e a Meloni stessa.

Accanto all’esigenza mediatica di una presenza simbolica nel territorio dov’è avvenuta la tragedia, l’intento è quello di annunciare una stretta, avvertendo chi pensa di entrare illegalmente in Italia che «non conviene pagare gli scafisti e rischiare di morire» per farlo. «Se qualcuno pensa che i fatti del 26 febbraio ci abbiano indotto a modificare la linea del governo sbaglia di grosso - argomenta Meloni -. Noi confermiamo la nostra linea» e «la dimostrazione del fatto che non c'è una politica più responsabile è la volontà di interrompere la tratta degli scafisti. Vogliamo combattere la schiavitù del terzo millennio rappresentata da queste organizzazioni criminali».

Una caccia ai trafficanti che, con le modifiche al Codice penale illustrate dal Guardasigilli Carlo Nordio, comporterà un inasprimento del carcere per chi provoca la morte dei migranti. Un reato che il governo considera «universale» e che servirà a colpire non solo chi sta sui barconi, ma anche i trafficanti: «Vogliamo cercare gli scafisti in tutto il globo terracqueo», insiste Meloni, anche grazie ad «accordi bilaterali con i Paesi in cui la tratta viene organizzata»: se collaboreranno, beneficeranno di «maggiori flussi legali» “cooperazione e investimenti.

Anche l’Europa viene tirata in ballo: Roma si attende che dal prossimo Consiglio Europeo arrivino «passi concreti». Nella bozza del decreto ci sono anche la programmazione triennale del decreto flussi per aumentare gli ingressi legali in Italia (ma sulle cifre, si ventilava 100mila l’anno, non c’è certezza). Ci sono poi misure per commissariare le strutture di accoglienza che non funzionano bene, la memorizzazione informatica delle domande delle imprese per i lavoratori stranieri, norme anti caporalato. Ma a fronte di questo, la Lega incassa il restringimento della «protezione speciale», fatto nel 2018 coi decreti salviniani e poi cancellato dallla ministra dell’Interno Lamorgese. Meloni va anche oltre, annunciando l’obiettivo di «abolirla» per sostituirla con misure in linea con la normativa europea. Accanto alla premier, Salvini gongola soddisfatto. Il governo è compatto, ripete, «il via libera unanime al decreto lo indica» e non c’è alcuna distanza di vedute. Meloni glielo concede: il nuovo provvedimento contiene «diverse delle proposte della Lega». Il tema dei soccorsi non entra in alcuna norma.

Perché il governo ha espunto dal decreto - «su richiesta del ministro della Difesa Guido Crosetto», ha detto la premier - l’articolo 10 della prima bozza, che prevedeva l’intervento anche delle navi della Marina Militare. Così, le domande dei cronisti riaccendono la questione. Meloni le rintuzza una a una, sotto lo sguardo sconcertato dei ministri e del sottosegretario Alfredo Mantovano. Poi esce, scura in volto. E ritrova il sorriso sfoderato all’arrivo, solo quando alcuni simpatizzanti cutresi la salutano. In fondo è la sua forza, il consenso di chi la vota.

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