venerdì 28 dicembre 2018
Lo afferma il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, ascoltato ieri in commissione Bilancio a Montecitorio. Oggi il testo in Aula e il ricordo Pd alla Consulta
I lavori della commissione Bilancio della Camera (Ansa)

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Scritta e riscritta, la manovra in versione definitiva finisce per aumentare le tasse e per ridurre gli investimenti, mettendo il Paese a rischio recessione. A forza di modificarne interventi e parametri, si è verificata «un’inversione di segno nell’effetto netto complessivo sulla spesa per investimenti e contributi agli investimenti nel 2019: da un aumento di 1,4 miliardi inizialmente previsto si passa a una riduzione di circa un miliardo» . L’analisi è quella del presidente dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, ascoltato ieri in commissione Bilancio alla Camera, dove il testo è passato per un esame-lampo prima dell’approdo di oggi in aula. E dove, dopo essere stato reclamato a gran voce da Pd e Forza Italia, a sera arriva anche il ministro del Tesoro Giovanni Tria.

Il titolare del Mef difende la sua legge: «Credo che nelle ultime ore abbiamo raggiunto il miglior risultato possibile, sia sul piano economico e finanziario, che politico», dice certo che «ciò ci consentirà di ridurre lo spread e ottenere più risorse per la crescita», in modo da «dare più fiducia ai consumatori e ai mercati». Le sue previsioni sono ben diverse da quelle presentate da Upb. «Rispetto alla prima versione della manovra, l’attuale riduce la spesa corrente del 2019 e non lo fa a scapito della spesa per investimenti», che restano «15 miliardi in tre anni», grazie ai fondi europei «già disponibili», secondo Tria.

La riduzione del fondo per quota 100 nel primo anno non cambia «impianto e impatto della riforma» che consentirà di andare in pensione in anticipo «con 62 anni di età e 38 di contributi senza riduzioni». Così come non cambiano «platea e assegno» del Reddito di cittadinanza. La nuova versione della manovra, con le modifiche volute dal Parlamento, secondo il ministro, «attesta il saldo netto da finanziare in 59,3 miliardi nel 2019». Quanto alle preoccupazioni per l’aumento Iva, «confidiamo di poter intervenire come fatto quest’anno, sperando in una maggiore crescita», dice Tria.

Ma il quadro che presenta Pisauro, è diverso e niente affatto roseo. E per evitare fraintendimenti, il presidente dell’organismo tecnico parlamentare chiede di non essere trascinato con l’Upb nella polemica politica. Nel 2019, spiega, la pressione fiscale salirà al 42,4 per cento del Pil (dal 42 del 2018). Stando alle stime, nel 2020 si arriva al 42,8 per tornare al 42,5 nel 2021. Sul nuovo quadro di finanza pubblica, continua, «il dato preoccupante è quello sul 2020 e sul 2021», con rischi al ribasso superiori rispetto al 2019: «I rischi maggiori sono collegati soprattutto alla presenza esaltata dell’aumento futuro dell’Iva». Qui tornerebbe a far tremare il rischio recessione. Se poi, secondo l’authority per i conti, la stima della crescita di un punto del Pil «è accettabile», vanno comunque «segnalati notevoli rischi al ribasso», a partire dall’andamento delle esportazioni e del commercio internazionale. Su questo le previsioni di governo e Upb non si allineano.

Insomma, secondo Pisauro la «nuova versione» della manovra «è comunque soggetta a un rischio di deviazione significativa rispetto alle regole europee, inclusa la flessibilità degli investimenti» concordata con l’Europa. Rispetto alla precedente stesura c’è una minore riduzione, dovuta alla revisione del Pil, «ma un altro fattore di incertezza riguarda le famose clausole Iva», e dunque «siamo sempre su un crinale pericoloso».

Preoccupazione che scatena le opposizioni, con il Pd che oggi alle 13 presenta il ricorso alla Consulta. Il Parlamento «esautorato», infatti, secondo la tesi dei dem, non ha potuto esaminare il testo. I dem, però, lasciano fuori dalle polemiche Sergio Mattarella, chiamato in causa da Fi e Fdi. E secondo fonti parlamentari, non si esclude che il presidente della Repubblica – che dirà la sua nel discorso di fine anno – non si pronunci sulla manovra al momento della firma, con una lettera di accompagnamento al governo. Ipotesi questa che non trova, a oggi, riscontro al Quirinale.

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