Una norma che discrimina i richiedenti asilo rispetto agli italiani, ma persino rispetto agli stranieri regolarmente soggiornanti creando una sorta di girone dantesco. La carica dei sindaci contro alcune norme del decreto Salvini, aperta dal primo cittadino palermitano Leoluca Orlando, tocca alcuni nodi importanti, anche se probabilmente non avrà esiti pratici.
La scelta politica di sospendere il decreto perché «disumano e criminogeno» e contrario alla Costituzione, è comunque supportata da ragioni 'tecniche'. Ci aiuta a capirle il costituzionalista Paolo Bonetti, professore associato all’Università milanese della Bicocca, membro del direttivo dell’Asgi, i giuristi italiani esperti di immigrazione.
«La norma sull’anagrafe – afferma – è palesemente incostituzionale perché scritta in modo tale che la distinzione diventa priva di ogni ragionevolezza. Non solo: la norma viola l’articolo 3 della Costituzione. In sostanza non è possibile prevedere che tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti, come dice il Testo unico sull’immigrazione, siano iscritti all’anagrafe come i cittadini italiani e poi in una norma successiva stabilire che una sola categoria di regolari – i titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo – venga esclusa da questa iscrizione». Una norma contraria anche al principio securitario cui dice di ispirarsi, perché «in realtà impedisce agli amministratori locali di conoscere residenza e numero esatto delle persone soggiornanti sul proprio territorio ». Con ricadute sulla programmazione dei servizi sociali e pubblici che i Comuni hanno l’obbligo di garantire. Senza contare che il diritto alla residenza e quindi l’iscrizione all’anagrafe è soggettivo, come stabilito dalla Cassazione, e non solo un mero interesse legittimo.
«Ma poi che senso ha complicare la vita ai richiedenti asilo – si domanda Bonetti – la categoria che andrebbe invece tutelata secondo la Costituzione perché più fragile? Non si capisce la ragione di una norma che discrimina sostanzialmente gli accessi ai servizi come l’iscrizione ai centri per l’impiego e al servizio sanitario nazionale che richiedono il comune di residenza. Il decreto Orlando-Minniti risolveva la questione, prevedendo un’iscrizione quasi obbligatoria fatta dai responsabili dei centri di accoglienza e la cancellazione quando venivano spostati».
Altra contraddizione riguarda gli ex minori stranieri non accompagnati, che rientrano nella categoria generale dei richiedenti asilo. «I Comuni sono tenuti ad assicurare loro servizi con una certa solidità, poi al compimento dei 18 anni tutto si precarizza. Non ha senso buttare a mare un simile investimento pubblico. La norma pare fatta apposta per creare problemi».
Non ha dubbi invece Bonetti – come altri costituzionalisti che si sono espressi ieri – sull’obbligo del sindaco di applicare la legge anche se la ritiene ingiusta. «È un pubblico ufficiale, non può esimersi dall’applicarla, a maggior ragione per quanto riguarda l’anagrafe. Altrimenti il prefetto annullerà i provvedimenti contrari alla legge. La via maestra per i sindaci è invece quella di ricorrere alla Corte costituzionale contro la norma».
Ma quali sono le conseguenze alle quali i sindaci vanno incontro in questa loro azione? Innanzitutto i prefetti sono tenuti a denunciare loro e gli ufficiali dell'anagrafe. Il reato che potrebbe essere loro contestato è l'abuso d'ufficio. Aggravato dal fatto che i primi cittadini in materia di anagrafe agiscono come ufficiali di governo. I prefetti inoltre possono cancellare l'atto dell'ufficio comunale. C'è poi anche la possibilità di una revoca del mandato, che il Testo unico sugli enti locali demanda al ministro dell'Interno, ma solo in casi di «gravi e persistenti violazioni di legge». Strumento di cui Salvini ha annunciato di non volersi avvalere.