Ansa
«Le donne nel 1946 sentivano forte la conquista del voto. Molte, anche a distanza di decenni, hanno raccontato l’emozione di esercitare quello che avvertivano come un diritto, ma soprattutto come un dovere civico, oltre che come l’inizio di un percorso di emancipazione ». Francesca Zajczyk, sociologa milanese, è nata un anno dopo quel voto, al quale nel 2012 dedicò un saggio per Laterza scritto a quattro mani con Assunta Sarlo ('Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia'). Il cognome arriva dal padre, un medico ebreo antifascista di origine lituana, milanese d’adozione, che si ritrovò confinato dai fascisti in Abruzzo.
Professoressa Zajczyk, il suffragio alla donne è stato una concessione o una conquista?
La risposta a questa domande è oggetto di un dibattito tra gli storici. Una parte dell’opinione pubblica di allora pensava che le donne non fossero ancora pronte a votare perché troppo influenzate da mariti, padri, parroci... Finita la guerra, i due partiti principali, Democrazia Cristiana e Partito Comunista, pensavano che fosse un passo obbligato, un atto democratico che si doveva compiere. Molte storiche parlano di democrazia monca, perché il voto alle donne fu concesso senza che ci fosse una forte spinta dal basso.
Però poi le donne parteciparono al voto del 2 giugno in maniera massiccia: 82% contro l’82,9% degli uomini. Un dato inaspettato?
Per tanti versi sì. Quel dato peraltro è coerente con le testimonianze che hanno reso, fino ai nostri giorni, le donne che andarono ai seggi. Tutte rievocano l’emozione, molte ricordano che si misero il rossetto, a sottolineare l’importanza dell’atto e la consapevolezza di quanto fosse importante per loro.
Alla Costituente i partiti candidarono 226 donne. Ne furono elette solo 21. Perché?
Il tema della difficoltà delle donne a votare altre donne emerse subito e oggi è diventato cronico. Il nostro Parlamento ha cambiato volto solo quando è entrata in vigore la legge sulla doppia preferenza di lista. Questo fenomeno, del resto, non riguarda solo la politica ma anche il mondo delle imprese.
E da cosa è motivato?
I fattori sono tanti. Uno di questi è la difficoltà che hanno le donne di fare lobby, di creare alleanze tra loro.
Il voto alle donne ha creato una piattaforma per l’emancipazione femminile, nella società e in famiglia. È d’accordo?
Non del tutto. La 'democrazia monca' ha lasciato il segno sulla società italiana, e lo si vede nella difficoltà delle donne a riconoscere il diritto a un proprio ruolo. L’atteggiamento remissivo e di sottomissione delle donne nei confronti degli uomini è continuato ancora a lungo, con uno scollamento tra ciò che il voto poteva produrre e ciò che invece accadeva nella realtà. Almeno fino a che è intervenuto il vero fattore di emancipazione femminile: il lavoro fuori casa. Ma qualcosa è rimasto: basti pensare alla fatica che fanno le donne a tenersi un lavoro quando diventano madri, allo scandalo delle dimissioni in bianco, oggi finalmente fuorilegge...
Cosa direbbe a una 18enne di oggi non interessata ad andare a votate?
Direi che il voto è importante per eleggere le donne nei luoghi in cui si decide per altre donne. Pensi ai contenuti del Recovery Fund: è importante che le donne siano oggetto di una speciale attenzione. E se laddove si decide non ci sono le donne, chi prende le decisioni, solo gli uomini?