Non appena ha sentito la parola "Aventino", Enrico Letta ha lasciato il caffé e la lettura dei giornali e si è fiondato al telefono per cercare Franceschini: «Dario, dillo chiaro e forte a Brunetta e Schifani: se vogliono la palude salta tutto. Adesso». È l’inizio di una giornata interminabile, in cui il premier vigila minuto per minuto sulla trattativa tra i capigruppo, e che in serata si chiude con una confidenza rasserenante fatta al ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni: «Possiamo continuare a lavorare, è finita meglio di quanto sperassi».La minaccia del premier è arrivata chiara e forte, se è vero che nel giro di una mattinata i tre giorni di "occupazione" delle Aule si sono trasformati in tre ore di assemblea. Ma Letta è consapevole che si tratta solo della prima tappa di venti giorni di passione. Perciò non molla la presa. Sente più volte Napolitano. E alla fine i due decidono di dare un segnale unitario. Il premier sale al Colle e al rientro lancia un messaggio, una sorta di ultimatum, a Berlusconi: «Voglio subito la garanzia che un’eventuale sentenza di condanna non inciderà sul governo, come abbiamo sempre sostenuto sin dal primo minuto». La risposta deve arrivare nelle prossime ore, e soprattutto deve vedersi in Aula, dove sono in esame diversi decreti importanti per rilanciare la crescita.Napolitano non rilascia alcuna dichiarazione ufficiale. In questa fase preferisce non fare troppo rumore. Ma in un incontro del mattino con Mario Monti, lui e il professore si lasciano andare ad una analogia con quanto accaduto ai tecnici. Il senso della riflessione è questa: non era forse meglio che "SuperMario" lasciasse Palazzo Chigi a marzo, quando Pd e Pdl iniziarono a impallinare l’esecutivo, piuttosto che proseguire per senso del dovere? E oggi, in parallelo, a Letta conviene governare lui il conto alla rovescia o lasciarsi bruciare più avanti dal Pdl con il pretesto di qualche misura economica? Le risposte ai quesiti quirinalizi spettano al Cavaliere, è lui che dovrà battere un segnale, ricordando anche che Napolitano ha accettato un nuovo settennato solo alla luce di un impegno comune di Pd e Pdl per la crescita e le riforme.Letta resta convinto che Berlusconi non staccherà la spina, consapevole che restare agganciato all’esecutivo in carica è lo scenario per lui più rassicurante. Tuttavia, ciò che accadrà dopo il 30 è davvero imprevedibile. Perciò ieri sera, con Saccomanni, ha definito una vera e propria road map per convertire tutti i decreti alla Camera e al Senato prima di fine mese. Una corsa contro il tempo per non lasciare nulla in sospeso.Torna alla mente un’espressione, «non a tutti i costi», che Letta usò per dire che il governo aveva senso solo se faceva cose, e che Napolitano utilizzò invece per dire che ai primi segni di "tradimento" del patto comune Pd-Pdl non avrebbe esitato lasciare il Colle. Ma c’è anche un altro scenario, la formazione di una nuova maggioranza. Ieri sera i deputati e senatori Pdl erano molto più pacifici anche perché hanno origliato, dai colleghi M5S, una mezza disponibilità offerta da Grillo a Napolitano per "ragionare" su nuovi scenari successivi alle larghe intese.Nello scenario complessivo, infine, non sfugge a Palazzo Chigi la strana parabola del Pd, che ha iniziato la giornata in posizione di forza e l’ha chiusa tra polemiche e spaccature. Lo stesso Letta, simbolicamente, ha passato la giornata tra i «fatti», tra Unione bancaria e question time, tra credito alle imprese e pacche sulla spalla alla nazionale di pallavolo. Non si aspettava che i renziani aprissero nuove falle nel partito. Anche dall’«amico Matteo» ora vuole una risposta chiara, che i parlamentari lettiani Paola De Micheli e Francesco Russo sintetizzano così: «Se sarai segretario, saprai sostenere la responsabilità di questo esecutivo?».